Titolo: La strada perduta
Autore: Alessio Banini
Editore: Plesio Editore
Genere: fantasy
Pagine: 240
ISBN: 9788898585120
La trama in breve:
Uziel, eroe ambiguo e cinico, è impegnato in un'eterna missione solitaria. Angelo caduto dal Paradiso Celeste, persa la sua funzione di guida spirituale, sceglie di sterminare il male.
Inizia così il suo viaggio attraverso le campagne e gli angoli più sperduti dell’Impero, dove i demoni attentano alla vita e allo spirito degli uomini. Ma la missione si rivelerà presto una lotta contro la corruzione della sua stessa anima. (dal sito dell'editore)
Il mio commento:
Circa 1 anno fa, di Banini avevo letto Sangue Ribelle, sempre per Plesio Editore, che, stando alla configurazione del progetto narrativo dell'autore si prefigurava come sesto libro del ciclo "Daemon inside". Il libro che commento oggi figura invece come quarto della medesima saga, e ne mantiene il tono e l'atmosfera. Non ho però percepito continuità in termini di personaggi e intreccio, probabilmente perché la mia memoria non è stata così pronta a rievocare immagini e ricordi di quanto letto nel 2013, o forse perché tra quanto scritto in La strada perduta e in Sangue ribelle c'è una certa distanza in termini temporali.
Vero anche che i due libri discostano sotto vari aspetti, sia per il tipo di argomenti narrati che per razze e personaggi proposti, ma non ho rilevato quella continuità che mi aspettavo e che, probabilmente, una mappa o qualche riferimento trasversale avrebbe facilitato.
In La strada perduta, come si evince dalla cupa ma significativa immagine di copertina, il focus riguarda la caccia perpetrata da Uziel, angelo decaduto, che vaga alla ricerca di demoni. Una caccia eterna e senza sosta, nella quale investe tutto se stesso sacrificando, al contempo, tutto se stesso. Il personaggio che pagina dopo pagina viene a delinearsi, in effetti, ha poco di angelico: risulta semmai una sorta di serial killer specializzato in creature demoniache, ossessionato dalla caccia al punto di dimenticare se stesso e di perdere la propria lucidità, in un perenne vagabondare nei medesimi luoghi, decennio dopo decennio, per sgominare le creature dell'Abisso.
La narrazione procede a episodi e credo che questo stratagemma faciliti la fruibilità di una storia che, sebbene non vi siano precisi riferimenti temporali, si dipana nell'arco di svariate decadi. Cosa che purtroppo si evince più per chiare indicazioni fornite più che per cambiamenti sociali o per ricordi e digressioni di Uziel (che d'altra parte, pagina dopo pagina risulta sempre più schizzato e smemorato).
Il tono cupo e rassegnato dà inoltre una misura di quanto disperata e vana sia la missione di Uziel: tutto, nel testo, sembra gridare che il mondo è perduto, in balia di uomini avvezzi al peccato e di demoni sanguinari mentre, a loro contrapposti, non si erge nessuno. Gli stessi uomini sono poco inclini a credere nell'esistenza delle creature dell'Abisso e, salvo rare eccezioni, non riconoscono in Uziel un salvatore o un eroe da imitare.