venerdì 28 febbraio 2020

Benvenuti a Zombieland

Titolo: Benvenuti a Zombieland
Anno: 2009
Regia: Ruben Fleischer
Genere: commedia, horror
Cast:  Woody Harrelson, Jesse Eisenberg, Emma Stone, Abigail Breslin, Amber Heard, Bill Murray

La trama in breve:
Benvenuti a Zombieland, il film diretto da Ruben Fleischer, è ambientato in un'America conquistata dagli zombi.
Tutto è cominciato con il virus della mucca pazza che mutando ha trasformato gran parte della popolazione in famelici zombi malvagi.
Due mesi dopo l'apocalisse, Columbus (Jesse Eisenberg), studente universitario del Texas, timido e inesperto, sopravvissuto seguendo le sue 30 regole, si sta dirigendo dal suo dormitorio del college ad Austin verso Columbus, nell'Ohio, per vedere se i suoi genitori sono ancora vivi.
Durante il viaggio Incontra Tallahassee (Woody Harrelson), un altro sopravvissuto, particolarmente abile e violento nell'uccidere gli zombi.
Sebbene non sembri socievole, Tallahassee con riluttanza consente a Columbus di viaggiare con lui... (fonte www.comingsoon.it)

Il mio commento:
Sarà la situazione un po' troppo allarmistica nel mondo e nel Nord Italia a causa del coronavirus COVID-19, sarà che questa settimana ho tutte le attività sociali in pausa (corsi di ballo, corsi di arti marziali...), sarà che Netflix me lo segnalava tra i titoli che potevano interessarmi, mi son recuperato questo film di quasi dieci anni fa. Scoprendo or ora che l'anno scorso è pure uscito un secondo capitolo della saga, Benvenuti a Zombieland Doppio Colpo.
Comunque, tornando al film del 2009, già dall'inizio si intuisce che questo film ha un'anima moderna e scanzonata, con intrusioni registiche scanzonate e divertenti nel piazzare qua e là scritte relative alle regole da rispettare per sopravvivere oppure slow motion e scene gratuitamente fracassone e ignoranti. 
Durante i titoli di testa vediamo delle sequenze al rallentatore con persone in fuga, inseguite da zombie piazzati nelle situazioni più disparate: dal locale a luci rosse alla corsa coi sacchi tra padre-figlio, dal banchetto di matrimonio ad un intervento contro un incendio dilagante...e non si scherza nemmeno per le mamme assediate dai bambini festanti o per quanti calano le difese per una sosta al bagno :-P
Per cui è palese l'intento di scherzare con il genere horror e al contempo realizzare una pellicola un po' d'azione e un po' commedia che sappia intrattenere. Un po' come accadeva in quel capolavoro de L'alba dei morti dementi (Shaun of the dead) del 2004 che inaugurava la "trilogia del cornetto". 



I personaggi - il timido e goffo Columbus, lo spavaldo e pazzoide Tallahassee, la cinica e calcolatrice Wichita e sua sorella Little Rock - si ritrovano a viaggiare in un'America devastata e in preda al caos, senza più alcun futuro, braccati dagli zombie. L'aspetto interessante è che nessuno di loro ha velleità eroiche o un piano a lungo termine: malgrado alcuni desideri iniziali (ad esempio andare a Columbus per vedere se qualche parente è ancora vivo) si vive per lo più alla giornata, nella più totale libertà, fregandosene di tutto. Non ci si fa riguardi nel saccheggiare o distruggere, nemmeno si pensa a crearsi un rifugio o a far scorte di viveri...tutto è talmente precario che si pensa solo ad andare avanti. Un po' come i tempi moderni ci stanno insegnando a vivere e agire. Non a caso quindi i personaggi reagiscono in modo sconsiderato, quando si incontrano per la prima volta, minacciandosi o fregandosi a vicenda più che puntando a formare un sodalizio e qualche alleanza, ancora chiusi nel modo di pensare e di agire del mondo "ordinario", di quando gli zombies non c'erano.   
E nel generale fracasso che deriva da dinamiche palesemente stupide o irresponsabili si incastrano situazioni demenziali come il rifugio nella faraonica villa di Bill Murray con tanto di cameo dell'attore stesso, miracolosamente scampato alla pandemia e alle orde di zombies ma ancora in grado di regalare al pubblico una grande - tragica - performance. 
Sui generis le scene d'azione che ci accompagnano verso il finale, con una lotta senza quartiere all'interno di un luna park dove il rude Tallahassee, vestendo i panni del classico eroe d'azione, riesce a dare sfoggio di tutta la sua abilità nell'uccidere (se così si può dire) orde di zombies accorse da ogni dove. Creature verso le quali il personaggio dimostra di possedere una certa vena di cattiveria gratuita, colpendoli a tradimento con sportellate in faccia oppure scegliendo armi ad effetto (le cesoie al posto del fucile, per dirne una). In fondo, è a causa loro che ha perso tutto, in particolare l'occasione di mangiare le merendine Twinkies ...  (e anche un figlio, se è per quello...)



Dopotutto, non è che i sopravvissuti siano una elite scelta, i migliori in qualche campo, dei premi nobel...semmai dei quasi premi Oscar (a parte Emma Stone che l'ha pure vinto)...sono semplicemente dei "fortunati" sostenuti dal proprio spirito di iniziativa che si comportano di conseguenza, senza cedere al terrore o alla paura, ormai consapevoli che quella attorno a loro è la quotidianità con cui devono e dovranno fare i conti. E che forse non è poi tanto peggio di com'era un tempo. Certo, potevano anche farla finita suicidandosi, oppure cedere a vizi ben peggiori per alienarsi dalla realtà, invece la loro forza vitale li sostiene e, seppure a modo loro, e sicuramente deprecabile, scelgono di andare avanti. E pure con una discreta colonna musicale in sottofondo.
Il film dura in tutto circa un'ora e mezza e questa fila via liscia, godibile, senza indugiare troppo nell'horror, accompagnando lo spettatore in un'avventura che non ha né capo né coda (la razza umana pare esser ormai estinta, non esistono eserciti o governi nemmeno l'alba di un ritorno ad un "prima" in cui gli zombies non c'erano), ma che ovviamente porterà a qualche sviluppo nella storia personale di ciascuno dei protagonisti e a riaccendere una flebile speranza che forse, tutto sommato, seppure incerto, un futuro per l'umanità ancora lo si può intravedere. 



Vincere senza combattere

Titolo: Vincere senza combattere
Sottotitolo:  Da Sun Tzu ai 36 stratagemmi: l'arte della strategia secondo l'antico pensiero cinese
Autore: Pierre Fayard
Editore: Ponte Delle Grazie
Genere: saggio
Pagine: 188

La trama in breve:
Capacità di analizzare situazioni e contesti, uso dell'astuzia e della creatività, decifrazione dei segnali che annunciano il cambiamento, attenzione a non sprecare energie e ricerca dell'armonia: queste le doti dello stratega come emergono da due grandi libri sapienziali cinesi, «L'arte della guerra» di Sun Tzu e «I 36 stratagemmi». Fedele all'essenza profondamente pragmatica dell'antico pensiero cinese, Pierre Fayard ha scritto questo libro con il proposito di rendere espliciti all'orecchio e alla mente di noi occidentali i contenuti originariamente espressi in formule poetiche e metaforiche, creando così un ponte tra mentalità orientale e sensibilità occidentale. Utilizzando storie esemplari, antiche o modernissime, lontanissime vicine alla nostra quotidianità, questo libro spiega, chiarisce, approfondisce le massime alle quali sempre più, nel nostro mondo complesso e globalizzato, si ispirano coloro che vogliono coglierne le sfide, nelle decisioni che riguardano la propria vita di tutti giorni, o che hanno a che fare con i massimi sistemi della politica e dell'economia. (fonte www.libraccio.it)

Il mio commento: 
Approfittando di un po' di tempo libero, son riuscito a completare la lettura di questo testo acquistato tempo fa su Libraccio, un testo che mi interessava dal punto di vista dello studio della cultura orientale anche nell'ambito delle arti marziali. Oltre che per quel riferimento ai 36 stratagemmi, argomento che Alessandro, amico e maestro di Qi Xing Tang Lang Quan presso la Kyu Shin Ryu, più volte ha citato negli ultimi anni.
Stando alle premesse della quarta di copertina mi aspettavo un testo molto più articolato, lungo e complesso di quello che mi son ritrovato per le mani, senza contare che dei 36 stratagemmi in realtà ne cita solo una parte, ovvero 25, per scelta dell'autore. Almeno, così è nell'edizione che ho recuperato io, non l'ultima.
Dopo una prima parte dedicata a chiarire aspetti legati a strategia, saggezza, astuzia, cultura occidentale e orientale, l'autore propone riflessioni ed esempi legati ai vari stratagemmi proposti.
Si concentra, in realtà, solo sui primi 4 macro-blocchi - gli stratagemmi in situazioni di dominio (battaglie già vinte), gli stratagemmi sul filo del rasoio (battaglie indecise), stratagemmi d'attacco, stratagemmi degli estremi rimedi (battaglie dalle molteplici possibilità) - e infine sullo stratagemma per eccellenza, ossia la fuga. Da non intendersi come vigliaccheria, sia chiaro, ma come occasione di rinascita e di ripartenza: ostinarsi di fronte a una situazione non porta a nulla, meglio quindi conservare le forze, attendere tempi migliori e affidarsi alla creatività per gettare le basi per una futura occasione di vittoria. 
Il libro, sia per stile per che per impostazione e registro, non risulta pesante o noioso, anzi si legge più che volentieri e mantiene un tono piuttosto discorsivo e non prolisso. Ho trovato interessante il modo in cui l'autore si è soffermato su ciascuno degli argomenti proponendo storie, applicazioni ed esempi generali che un po' si rifanno (suppongo) ai testi originali un po' a dinamiche di vita attuale. Ci sono casi legati alla politica, all'economia, alla "natura" (se così si può dire), e questo è molto utile e interessante per il lettore che riesce a rimappare quanto proposto in un contesto a lui vicino e con risvolti ben comprensibili.