sabato 22 febbraio 2014

Crash

Titolo: Crash
Regia: David Cronenberg
Anno: 1996
Genere: thriller, erotico, drammatico
Cast: James Spader, Holly Hunter, Elias Koteas, Deborah Kara Unger, Rosanna Arquette

La trama in breve:
Il produttore cinematografico James Ballard, in seguito ad un incidente stradale, si trova ricoverato in una clinica, assistito dalla moglie Catherine. Qui conosce Helen Remington e l’inquietante Vaughan, personaggio morbosamente attratto dalle automobili la cui principale occupazione è quella di riproporre in prima persona e nei minimi dettagli incidenti di personaggi famosi (come quello di James Dean e di Jayne Mansfield). La circostanza dell’incidente e l’irruzione dello stesso Vaughan nella vita dei protagonisti segnano il loro coinvolgimento in una serie di attività pericolose e perverse che avranno conseguenze drammatiche. (fonte wikipedia)

Il mio commento:
Qualche tempo fa avevo parlato di Hardware, visto sull'onda della curiosità suscitatami da uno speciale in tv dedicato a film attinenti al rapporto uomo-macchina.
Ebbene, anche questo Crash (da non confondersi con il più recente Crash - Contatto fisico del 2004 ad opera di Paul Haggis) veniva citato in quel medesimo speciale. Oltretutto, trattandosi in questo caso del regista di pellicole quai The Machinist, eXistenz e History of Violence, mi son sentito tranquillo, con la certezza di trovarmi di fronte ad un film sofisticato e impegnativo. 
Ed è stato così, in effetti, ma con risvolti che non mi aspettavo affatto.
Non so quanto rispetti dell'omonimo romanzo di James Graham Ballard da cui è tratto ma senza ombra di dubbio quest'opera di Cronenberg non rappresenta una visione adatta a tutti, soprattutto ai palati più moralisti e candidi. Perverso e immorale sono forse gli aggettivi che più facilmente vien da associare a questa produzione.
Anche se, probabilmente, è solo l'effetto amplificato ed estremizzato di pulsioni e dinamiche attuali e frequenti. 
Chi di noi, in fondo, non prova una curiosità morbosa ogni qual volta si trova a passare accanto a carcasse di auto appena incidentate, dove magari ci sono stati feriti? 
Chi di noi (parlo agli automobilisti) non percepisce la propria auto come una sorta di estensione del proprio corpo? 
E che dire dello sconvolgimento che si innesca dentro di noi quando scampiamo ad un grave pericolo?
Ecco, Crash parla ANCHE di tutto questo. 
Ma con la tendenza a estremizzare il tutto, lavando via il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, giocando con emozioni forti, con il contatto dei corpi, con il rischio mortale, con le passioni spregiudicate, con la noia e la ricerca di una prova di esistenza. Concetti come giusto o sbagliato, morale o amorale vengono praticamente annichiliti e gettati nel sacco della monnezza in favore di un modus vivendi sfrenato, libero da qualsivoglia inibizione e freno, anche quando si tratta di rischiare la vita propria o quella altrui. Niente ha valore o senso se non le emozioni e il piacere. 

Tra gli aspetti più destabilizzanti della storia proposta vi è poi la ricerca delle sensazioni e delle emozioni provate in situazioni di forte pericolo, poco prima della morte, cercando di assaporarle in un modo che definire lascivo forse è poco. La morte stessa non causa più alcun timore, nemmeno il pensiero che un comportamento scellerato possa portare al proprio annullamento è motivo per frenarsi, anzi funziona invece da molla per scattare alla ricerca di qualcosa di nuovo. 
C'è quindi un continuo giocare con dinamiche violente, un alternarsi di violenza subita e prodotta, di fisicità e intimità. E non sempre è ben chiaro il confine tra corpo e mezzo visto che l'auto diviene anche strumento per, come dire, simulare l'atto sessuale. Già.
In primis come culla, come mondo a sé in cui restare soli e praticare un po' di mambo orizzontale (magari fregandosene se il poso scelto è un parcheggio frequentato...), in secondo luogo come estensione del proprio corpo, a metà tra complice silente e stimolante erotico. Oltre a ciò, il rapporto con l'auto, con la tecnologia in generale, rasenta il misticismo e l'integrazione biologica, dove il mezzo rappresenta l'uomo e viceversa, ne rispecchia la personalità e ne conserva ricordi e identità. Ecco allora l'interesse per le auto incidentate, per le carcasse di veicoli devastati dagli incidenti a cui si è sopravvissuti...e in cui si può pure cogliere l'occasione per un po' di attività sessuale. 
Quello che però non ho ben compreso, non tanto dal film ma da me stesso, è se mi ha turbato di più il fatto di vedere distorto e svalutato (forse...) il rapporto tra uomini e donne (ci son uomini che vanno con donne, donne che vanno con uomini, uomini con uomini, donne con donne...uomini che lasciano massacrare la propria donna da un altro uomo a cui lei stessa voleva concedersi in quel modo...un altro che si eccita per l'enorme cicatrice che un'altra ha sul retro della coscia...e credo che ci abbia pure infilato qualcosa dentro a quello squarcio ricucito °__° ) o il modo in cui i protagonisti si rapportano con la morte e la violenza. Tutto all'insegna della noia e dell'edonismo, alla ricerca di prove di esistenza. In tal senso, anche le cicatrici o le protesi finiscono per divenire "trofei", caratteristiche apprezzabili e desiderabili più che menomazioni ed elementi che possono causare ribrezzo o determinare un calo del potere di attrazione (del tutto opposto rispetto alla costante insistenza sulla bellezza e sulla perfezione che il mondo moderno propone).
I personaggi del film sono in un certo senso cellule indipendenti in un contesto metropolitano in cui, fondamentalmente, regnano distacco e indifferenza sia nel reciproco rapporto tra esseri umani - siano essi conoscenti o partner - sia verso se stessi. Sono di fatto insofferenti a tutto (politica, economia, lavoro, hobby...) se non al piacere, all'affermazione di sé stessi tramite sesso ed esplicita fisicità. Quest'ultima amplificata dal connubio con le vetture che, come dicevo prima, non sono un mero oggetto, uno status symobol, ma appendici palpitanti del proprio corpo. 
Al di là di tutti questi aspetti incentrati sulla carnalità e lo "scontro-incontro" fisico nel film emerge anche una forte insistenza sull'osservare, sulla curiosità voyeuristica che le persone dimostrano nei confronti di situazioni forti ed estreme, una sorta di intima partecipazione. E questo si verifica sia quando si tratta di dinamiche carnali (vedi James che, attraverso lo specchietto retrovisore, osserva Vaughan che "violenta" Catherine sul sedile posteriore dell'auto...) che in contesti di esplicita pericolosità voluta (le simulazioni clandestine di incidenti famosi) o imprevista (gli incidenti per la strada, con tanto di protagonisti del film che si aggirano tra rottami e corpi martoriati e sopravvissuti, ma non per aiutare o soccorrere, semmai attratti dai traumi da loro riportati). 
Inutile dire che su tutto il film domina un'atmosfera sordida e languida, irreale e fuori dal tempo, in cui si sprecano scene di amplessi e dialoghi sui generis e che, complici i toni pacati e le voci spesso basse, inducono lo spettatore ad una maggior concentrazione finendo per provare, al contempo, repulsione e interesse. Emblematico a tal proposito tutta la sequenza finale fenomenale quanto assurda e spiazzante, una di quelle che regala allo spettatore innumerevoli spunti di riflessione.
Complimenti poi al cast, in particolare a Elias Koteas, non così noto ma piuttosto prolifico e poliedrico in ambito recitativo, a James Spader il quale, malgrado l'immagine che conservo della sua partecipazione a Stargate, ha spesso preso parte a film "ambigui", come "Sesso, bugie e videotape" o "Bad Influence" (con Rob Lowe) e Deborah Unger.



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