domenica 26 dicembre 2010

..:: Gran Torino ::..

Titolo: Gran Torino
Regia: Clint Eastwood
Anno: 2008
Genere: Azione - Drammatico
Cast: Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, Austin Douglas Smith

La trama in breve:
Walt Kowalski ha perso la moglie e la presenza dei figli con le relative famiglie, al funerale non gli è di alcun conforto. Così come non gli è gradita l'insistenza con cui il giovane parroco cerca di convincerlo a confessarsi. Walt è un veterano della guerra in Corea e non sopporta di avere, nell'abitazione a fianco, una famiglia di asiatici di etnia Hmong. Le uniche sue passioni, oltre alla birra, sono il suo cane e un'auto modello Gran Torino che viene sottoposta a continua manutenzione. La sua vita cambia il giorno in cui il giovane vicino Thao, spinto dalla gang capeggiata dal cugino Spider, si introduce nel suo garage avendo come mira l'auto. Walt lo fa fuggire ma di lì a poco tempo assisterà a una violenta irruzione dei membri della gang con inatteso sconfinamento nella sua proprietà. In quell'occasione sottrarrà Thao alla violenza del branco ottenendo la riconoscenza della sua famiglia. (fonte mymovies)

Il mio commento:
Da quanto si è messo a sfornare film, il caro vecchio Clint sembra non sbagliare mai un colpo: da Mystic River a Invictus ognuno dei suoi film ha registrato consensi sia da parte del pubblico che dalla critica.
Film più o meno impegnati, ben realizzati, con cast di ottimo livello e storie sempre all'altezza.
Gran Torino, a mio avviso, non fa eccezione alcuna sebbene gli attori che vi hanno preso parte non siano nomi noti di Hollywood e dintorni. Quasi a voler proporre un film di minor spessore: in fondo, nei precedenti, ci son state collaborazioni con gente del calibro di Morgan Freeman, Sean Penn, Matt Damon, Tim Robbins...
Qui invece tutto, dal cast alla storia, ha un sapore più artigianale e periferico. L'ambientazione scelta è quella dei quartieri poveri, quelli in cui l'America esplicita la propria essenza multi razziale e multi etnica, dove i pregiudizi sono ancora un freno all'integrazione e i contrasti tra "popoli" diversi si fan sentire.
Lo stesso protagonista mantiene le distanze e condanna tutto ciò a cui assiste, soprattutto il barbarico comportamento dei teppisti che infestano il quartiere e il costante aumento degli individui di identità "non americana", rifiutando quasi di accettare il modo in cui vanno le cose. Almeno fino a che non incontra Thao, un ragazzino di etnia Hmong che fa capire al vecchio Walt/Clint come, in realtà, ci sia del buono nella società di oggi. Qualcosa che però va protetto, educato e guidato, attraverso l'esempio, affinché porti buon frutto. Probabilmente dando vita a qualche cambiamento di più ampio respiro. In fondo, se non si investe sui giovani, che futuro possiamo aspettarci?
Non che sia una cosa facile. Lo stesso Walt, burbero e pragmatico, se ne rende conto, tuttavia persevera e insiste, salvando quello che di buono c'è nella gioventù di oggi. L'umiltà, la sensibilità, la volontà e la capacità di fare, l'altruismo, tutte qualità che sono presenti in ciascuno dei giovani d'America - a prescindere da etnia e colore della pelle - ma che rischia di andare sprecato e perduto. Corrotto, forse questo è il termine più corretto, dai tempi moderni e dalla mancanza di esempi cui ispirarsi.
In questo senso, il film si propone quindi di insegnare e di educare pure lo stesso spettatore. In fondo, sarebbe più sensato lavarsene le mani e non preoccuparsi: è compito della società curare se stessa, devono farlo gli altri, è colpa degli altri. Degli immigrati, soprattutto. Poco importa se quegli stessi immigrati appartengono ad un'etnia contro cui, fisicamente e materialmente, noi stessi abbiamo compiuto crimini (da cui ancora non ci sentiamo affrancati).
Gran Torino è quindi un film ricco di spunti e tematiche, a tratti duro, a tratti dolce. Certamente non lascia indifferenti, soprattutto per il finale e, a mio avviso, per la caratterizzazione di Walt Kowalski. Tanto di cappello al vecchio Clint: non so bene quanto di suo ci sia in questo personaggio ma di sicuro è uno di quelli che si imprime. Non nego che la sua presentazione e le dinamiche che lo riguardano non presentino qualche mancanza (sarà l'incipit in medias res delle vicende narrate eppure si ha come l'impressione che certe sue esperienze e modi di vedere non siano effettivamente il frutto di un passato vissuto, ma solo brandelli di esistenza imposta) però rimane un personaggio forte e formidabile, capace di imporsi e dominato da una ferrea volontà di aggiustare le cose. Siano esse oggetti e mobili oppure rapporti e dinamiche sociali. Peccato però che i medesimi intenti non l'abbiano spinto a tentare, ancora e ancora, di costruire un rapporto più autentico con figli e nipoti ("quei depravati della mia famiglia"), quasi a dire che per la società "autentica" a cui sentiamo di appartenere non c'è molta speranza: ipocrisia, arrivismo ed egoismo sembrano ammorbarla troppo profondamente. I costumi sono ormai corrotti oltre ogni limite ed il tempo per il dialogo e per un sano rapporto col prossimo sembra non presentarsi mai. Nemmeno quando si verificano eventi, come un lutto, che dovrebbero spingere ad una maggior coesione e non al menefreghismo o alla disponibilità interessata.
L'unica speranza di reale cambiamento sta allora nella volontà di creare dialogo e integrazione, rifuggendo la violenza e impegnandosi nel rispetto delle leggi, ponendo fiducia nelle potenzialità dei giovani che crescono all'interno della società. Quelli che spesso vengono visti come il prodotto finale di un processo ma che in realtà sono persone in fieri, da salvaguardare e a cui prestare attenzione. 
Tra l'altro, questo processo nel film viene portato a termine principalmente da un vecchio: non credo si tratti di un caso. E' come se nel contesto descritto, e che certamente è specchio di una società attuale e reale, mancasse qualcosa. Una o più generazioni, insomma, "raccolti perduti" di persone che vivono ma che non sembrano essere significative. Potenziale di vita ed energia sprecata proprio per la mancanza di attenzione ad essa dedicata. Magari perché proprio chi avrebbe dovuto educare e proporsi ad esempio (che guarda caso sarebbe la generazione di Walt) era assente, impegnata in guerre e conflitti che hanno portato solo all'innalzamento di barriere e distanze. Anche dentro al cuore di chi ha dovuto commettere nefandezze e uccisioni in nome di un volere superiore non ben definito che vede nell'economia e nello sfruttamento i sommi valori da perseguire e che, in realtà,.finisce solo con l'impoverire e schiacciare gli individui. 
Un'ultimo aspetto infine che ho trovato interessante come elemento di riflessione è quello della violenza, ingrediente ormai naturale ed asfissiante della società moderna. Violenza verbale e fisica che sfocia in soprusi e sopraffazione degli altri, soprattutto nei confronti dei più deboli. Un atteggiamento barbarico che pure in questo film è presente ma che sembra derivare, appunto, dallo sbando e dalla diseducazione. Non tanto dai media o da fattori dettati da mode e mercati, ma dalla necessità di difendersi per affermare la propria sopravvivenza ed identità. Bisogna far parte di un gruppo, che deve essere forte, e quindi violento, e quindi armato, per non cadere vittima degli altri. Violenza come autodifesa, come negazione di altri valori. Come risposta forse. E che non può portare a nulla di buono, né quando ne si finisce vittima né quando la si applica al prossimo. Diversamente, il sacrificio di sé, la volontà di riscatto che si traduce in discussione di se stessi e conversione (religiosa o meno) possono produrre molto frutto e far bene all'anima.


1 commento:

Leonardo Colombi ha detto...

Ciao, grazie per gli auguri, che ti faccio a mio volta.
Interessante poi la segnalazione del concorso/votazione: proverò a vedere quel che posso fare, anche in base a quali dei film in gara ho effettivamente visto.