sabato 18 giugno 2016

Un Paese che non ce la fa

L'Italia,come si sa, è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Altrui possibilmente.
L'argomento "lavoro" come mezzo per la personale realizzazione, come base e fine di ogni cosa, perché per lavorare servono strutture e acquisire competenze, tramite lo scambio si facilita l'evoluzione, e se poi questo lavoro viene svolto per la collettività è la società tutta che ne beneficia.
E' stato scelto un argomento importante, quindi, un concetto che ne sotto intende molti altri e che negli ultimi anni, complici crisi economici e cambiamenti generali della società e del mondo, rappresenta sempre un argomento molto attuale.

C'è chi ne ha uno, chi ci muore, chi lavora mettendo tutto se stesso anche quando lo stipendio non è certo, chi emigra per cercarlo, chi se lo inventa, chi si costringe a sopportare viaggi e dinamiche non felici solo per guadagnare quel tanto che gli basta per campare, chi ha un'azienda e lotta costantemente con pressione fiscale e dinamiche nazionali non certo favorevoli, chi addirittura si suicida perché non ce la fa più a gestire crisi e problematiche (e magari dall'altro lato braccato sempre dallo Stato e sbeffeggiato da clienti che non pagano).

Dinamiche varie ed eventuali insomma, alcune felici, altre meno, alcune giuste, altre meno.
E infine ci sono pure quelle notizie che sembrano riportare un po' di equilibrio ed equità: mi riferisco a quanto emerso in merito ai "furbetti del cartellino", dipendenti pubblici che di fatto non lavoravano ma venivano ugualmente remunerati e per i quali, ora, parrebbe esser terminata la pacchia. 

Al netto che situazioni simili mi pare ci siano da mo, e che lasciano emergere enormi dubbi sul modo in cui l'apparato organizzativo statale controlli (e tuteli) se stesso, sottintendono anche un senso civico tendente a nullo. Insomma: "chi se ne frega della collettività, della responsabilità, del senso del dovere..."  
Che poi è lo stesso principio per cui si legittimano anche altre dinamiche, vedi i professionisti del lancio di cicche e abbandono cartacce, o di chi sperpera e incamera i soldi pubblici. 

Probabilmente c'è qualcosa di mancante nell'educazione mentale dell'individuo, quella forma mentis per cui uno dovrebbe tenerci a non danneggiare il proprio paese, la propria casa, se stesso.
Ma evidentemente con il degrado, la crisi, gli innumerevoli problemi irrisolti dell'Italia, noi non c'entriamo. E' colpa degli "altri".
Per cui, con tali basi, vien legittimo pensare, cosa si può mai pretendere dall'Italia?

E se dal basso siamo già così prodighi nel danneggiare il Paese, figuriamoci che accade in alto, ossia tra coloro che ci governano o che ci rappresentano in sede europea.

Detto ciò non mi stupisce che poi, quando ci sono le partite di calcio dell'Italia (ma anche di Champions o di serie A, volendo), tutto possa saltare e andare a rotoli. 
Posso comprendere l'amor patrio, la sfegatata e immotivata passione per il calcio, ma digerisco con meno facilità le situazioni in cui per motivi evidentemente religiosi, attinenti cioè alla fede calcistica, si danneggino e si crea disagio per le utenze e i cittadini.
Magari anche NON italiani.

Probabilmente penso male ma gli scioperi relativi ai trasporti aerei o degli autobus che, fatalità, son stati indetti con una straordinaria e del tutto casuale concomitanza con la partita di calcio dell'Italia fanno un po' cascare le balle.
D'altronde, come dice pure il nostro primo ministro Matteo Renzi "lo sport è la risposta culturale alla crisi".
Per cui, sono motivi culturali quelli che spingono i lavoratori a sbattersene delle utenze (e parla uno che grazie alla compagnia di bandiera "Vivi, ama, vola" ha già recentemente bestemmiato per ritardi a Roma Fiumicino, ma non ieri), e che immagino si ripresenteranno in occasione delle olimpiadi di Rio, ad agosto....
Invece no.
Quella roba là, non è calcio. 
Sono sport minori. 
Un po' come il basket e il volley, che magari pure regalano grandi soddisfazioni e rendono onore al Paese ma che, se vogliono campare, devono arrangiarsi, trovarsi spazi e magari anche i fondi. Vedi il caso del Modena volley, che in uno stesso anno vince scudetto, coppa nazionale, supercoppa italiana e che deve pure cercarsi sponsor per tirare avanti. E purtroppo non sono nemmeno gli unici.
Ma forse quello che ruota attorno agli sport minori non è da considerarsi lavoro o indotto.
Allora mi domando, che cavolo candidiamo a fare il nostro Paese per le olimpiadi del 2024? Già a suo tempo abbiamo fatto figuracce con i mondiali di nuoto tenutisi a Roma nel 2009 per i quali erano stati avviati cantieri per costruire nuove piscine concluse, diciamo, con qualche anno di ritardo....
Il sospetto che nasce è quindi quello di "usare" la promessa delle Olimpiadi solo a fini elettorali o per scambi di denaro. E che forse quella "risposta culturale" da associare allo sport, forse, funziona un po' come per legge, e cioè che dovrebbero esserci pari diritti e attenzioni ma in verità certe voci hanno più rilevanza di altre. 




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