sabato 15 luglio 2017

Trasferta in Senegal - seconda puntata

Probabilmente avrei dovuto/potuto scrivere questo post qualche tempo fa ma, tra una cosa e l'altra non ne ho avuto l'occasione: prima c'è stato un weekend dedicato a lavori a casa e un minimo di festeggiamento compleannoso, quindi un altro in cui c'è stato un mix tra concerto Aerosmith a Firenze e ritrovo parentale mentre il weekend scorso ero al primo ritiro estivo organizzato con l'asd Kyu Shin Ryu...per poi ripartire verso Olbia per qualche giorno di sana trasferta lavorativa... 
Ad ogni modo, se ricordate, in marzo mi sono recato in Senegal, tra Dakar e Saly (vicino a Mbour) per una trasferta di lavoro. 
Ecco, tra fine maggio e la prima metà di giugno ci sono ritornato per dare seguito alle attività iniziate, in particolar modo dedicandomi alla formazione del personale che si occuperà di usare i nostri software quando l'aeroporto Blaise Diagne entrerà in funzione al posto di quello Internazionale di Dakar. Una trasferta di due settimane in cui ho avuto l'occasione di stare maggiormente a contatto con gente del luogo e, quindi, conoscere meglio quella parte d'Africa. Parte d'Africa che tutto sommato non se la passa male ("Best of Africa", come l'ha chiamata qualcuno del team di Summa Limak) e che, sospetto, rivedrò ancora.



Rispetto a marzo, considerando anche l'effettiva presenza di ospiti in hotel - lo stesso hotel Royam che già aveva regalato qualche emozione nella precedente esperienza - si nota che la stagione turistica è virata verso la bassa stagione, aspetto per altro confermato dall'autista dalla pelle d'ebano che mi ha accompagnato avanti e indietro lungo le strade senegalesi. Stavolta, complici anche le traversate trascorse in reciproca compagnia, c'è stata l'occasione per scambiare qualche parola con Bassirou, anche se talvolta l'impressione è stata quella di instaurare un dialogo del tipo:
Io: « Sembra che stiano costruendo parecchio nei dintorni »
Lui: « Sì, il mango è molto buono »
Io: « Penso anch'io che i pneumatici four season vadano più che bene»
Ora esagero ma, tra inglese, wolof, dialetto veneto e gestualità varie, bene o male, ci si capiva ma ogni tanto mi pareva che fossimo del tutto sfasati. 
Tuttavia gli sono grato per la pazienza e la disponibilità, e anche per come ha gestito la situazione quel sabato mattina in cui, complice un camion che ha preso fuoco autonomamente bloccando per decine di chilometri l'unica strada asfaltata che collega Saly a Diass, ha spostato i pneumatici della sua ruggente Toyota Avensis sulle strade...beh, strade...sul terreno accidentato e sabbioso che costeggia la strada, si inoltra su campi e discariche, perdendosi poi dentro ai paesetti, praticamente a ridosso delle case, della gente e del bestiame. 
E' stata una piacevole esperienza: lui si dimostrava sicuro di sé e della sua vettura mentre io temevo che ci piantassimo e rimanessimo con il veicolo in panne. Cosa che per altro capita quotidianamente ad almeno un paio di camion e di auto che percorrono quella medesima strada.
A lui va anche la mia riconoscenza per il sollievo provato nel trovarlo all'uscita dell'aeroporto d Dakar: conquistare l'uscita di quel posto, alla sera, è sempre una bella prova...ma la consapevolezza di uscire e di trovare qualcuno di conosciuto ha un potere decisamente rassicurante. Soprattutto se poi devi farti tipo 60 km di notte lungo le strade non così illuminate del Senegal per raggiungere l'hotel...

E, ora che ci penso, considerando le emozioni che ci - a me e al collega Riccardo - ha regalato la guida sportiva di qualcun altro - che non vorrei citare -, sempre col senno di poi, un ulteriore ringraziamento diventa doveroso per il buon Bassirou.





Al di là di questo, nel periodo della mia permanenza c'era pure il Ramadan e, sinceramente, ho ammirato parecchio la stoicità di quanti lo rispettavano e che, pure di giorno, non toccavano nemmeno acqua. E non credo che abitualmente la media della popolazione faccia 5 pasti al giorno. La cosa interessante è che non solo i musulmani rispettavano il digiuno ma anche alcuni cristiani. Ho scoperto infatti che il Senegal è un paese molto tollerante e pare esserci molto rispetto reciproco tra credi differenti. All'interno di una stesso nucleo familiare possono esserci diversità di religione ma questo non costituisce alcun motivo di contrasto, Idem per le celebrazioni: tra il 4 e il 5 giugno ci son state delle feste in parallelo, una di matrice cristiana (con pellegrinaggio votato alla Madonna) e una musulmana senza che ci fossero screzi o tumulti nonostante le decine di centinaia di persone accorse. Addirittura mi han fatto vedere la foto di un cimitero in cui sono sepolti fedeli di religioni diverse. Per cui, un insegnamento ricevuto dal Senegal è che la tolleranza e la convivenza sono possibili a riprova che non sono le religioni a originare i problemi, ma le questioni di natura politica ed economica.
Durante i corsi che ho tenuto mi è stata anche posta una domanda: "Cosa ti è piaciuto di più del Senegal?"
Sinceramente son stato preso in contropiede e, al contempo, non volevo risultare indelicato. Però, probabilmente, questo spirito di serenità e tolleranza avrei potuto citarlo. 
Invece, da barbaro, ho risposto che mi stavo ancora facendo un'idea ma che, di fatto, ho trovato una situazione migliore di quel che pensavo. Anche perché, in fondo, noi privilegiati che abitiamo in questa parte di mondo, che ne sappiamo veramente di come stanno le cose in Africa? Basandoci su immagini prese dai tg o dalle varie campagne di raccolta fondi uno si fa un'idea di disperazione e instabilità senza fine quando invece, per quel che ho visto, là in Senegal non se la passano poi così male. 
Certo, ci son vari aspetti da sistemare, un po' di gap culturali da colmare, ma la nazione ha tutte le carte in regola per camminare da sola e crescere in molti settori.
Tra questi, probabilmente, l'informatizzazione potrebbe essere in pole position: durante la formazione degli utenti, ho infatti capito che non tutti sono così familiari all'uso dei pc e che non è scontato che, anche in un contesto aeroportuale, si lavori con strumenti adeguati.



Ricordo ancora quando, mentre facevo un presentazione generale di uno dei nostri sistemi, soffermandomi sul fatti che c'erano notifiche in tempo reale per cui, a fronte di un aggiornamento eseguito su una postazione, pure le altre venivano informate del cambiamento, ho chiesto se anche i sistemi che i miei allievi usavano a Dakar fossero simili. 
Ricordo il sorriso di Abib e la sua candida risposta: "We have no systems!"
Ma voglio credere che stesse scherzando.
Comunque sia quella del trainer è stata una bella esperienza anche se, in effetti, se avessi saputo il francese forse sarebbe stato più semplice. L'inglese lo masticano, ma non tutti. Un po' come nei nostri italici aeroporti se è per quello.
Piuttosto, un'altra cosa che mi ha dato da pensare è stato quello che mi hanno suggerito le allieve del primo corso, quando facevo notare che aggiornando i dati in un solo sistema anche i monitor che visualizzano i dati al pubblico cambiano informazioni, mostrando orari e note differenti. 
Qualcosa che, dalle loro facce, pareva non esser così fondamentale o utile. Infatti mi hanno spiegato che "la maggior parte dei passeggeri non sa leggere o non capisce cosa c'è scritto".
Ma voglio credere che pure Rokhaya stesse scherzando.
Certo, detta così sembra che li stia denigrando, però quello su cui vorrei sensibilizzare è che, in effetti, vivendo in una parte di mondo ci si aspetta che anche gli altri vivano in modo analogo o con medesime dinamiche. Un po' come quando per le strade di Singapore trovi manifesti che riportano informazioni, con tanto di foto, nome e cognome, di ladri acciuffati dalla polizia con riferimenti al reato commesso e a quando son stati presi e a quale pena son stati condannati. Un modo come un altro per far capire che si viene presi e puniti, che non c'è scampo se ci si comporta male. Un po' come qua da noi...




Tra le altre esperienze maturate nel corso di questa seconda trasferta c'è stato poi il mango, mangiato crudo nella mensa della Summa Limak. Inizialmente ho desistito, evitando (quattro volte) il frutto che mi veniva offerto dall'inserviente (che di fronte al mio diniego reagiva pescando un altro frutto, ora più piccolo, ora dal colore diverso...): non sapevo come mangiarlo, inoltre avevo dubbi sulla salubrità di mangiare frutta cruda...il rischio di restare prigioniero del bagno era sempre molto forte, complici anche gli sbalzi termici tra i +40 e passa dell'esterno e i locali climatizzati dentro al nuovo aeroporto. 
Ma soprattutto considerando "quali" bagni avevo a disposizione.
In realtà non è successo nulla di increscioso e, anzi, non è nemmeno così complicato da mangiare come pensavo: ho apprezzato assai degustare quel tipo di frutto che, per lo più, avevo mangiato disidratato o in forma indiretta (succhi, gelato...). Frutto che tra l'altro cresce facilmente in quelle zone - sinceramente, come facciano gli alberi a generare frutta lì è un bel mistero - e che, ai margini delle strade, viene venduto (se non ho capito male quel che diceva Bassirou) a circa 300 franchi cfa, tipo 50 centesimi. A canestri da circa 4/5/6 frutti l'uno. Qua da noi viene 7,50 al kg...
Ho anche avuto l'occasione di vedere delle scimmiette, sia libere, a zonzo, ai margini della strada sia all'interno del parco-safari Bandia. I ragazzi di Summa Limak ci hanno portato a mangiare lì in occasione del nostro "ultimo" pasto e, mentre stavamo nel ristorantino, c'erano alcune scimmiette appostate sugli alberi là vicino...pronte a cogliere l'attimo per rubare pezzi di cibo dai tavoli. Un ragazzo del Belgio che era a tavola con noi asseriva che le scimmie hanno pure imparato l'arte del ricatto, tuttavia quelle del Bandia parevano non esser ancora arrivate a un simile livello di malavitosità :-)



Un altro momento un po' particolare che mi ha lasciato perplesso ha riguardato invece le mura di Cittadella. Durante uno dei vari momenti di dialogo, essendomi stato chiesto, ho mostrato loro dove vivo: grazie a Google ho proiettato delle immagini di Cittadella (non che io abiti in centro) pensando così di raccogliere consensi mostrando la cinta muraria di origine medievale...
Invece c'è stato un momento di silenzio e dubbio: quelle strutture che per certi versi richiamano a un'epoca o comunque a un periodo che ha caratterizzato l'Europa parevano prive di senso agli occhi senegalesi dei miei corsisti. 
In effetti, ora che ci penso, non ho visto rovine di epoche antiche o chissà quali eredità del passato. Anzi, se ci rifletto con più attenzione, non mi vien in mente alcun ricordo scolastico sull'Africa che riguardi i secoli che intercorrono dall'epoca romana fino a quando il continente Nero è diventato terreno di caccia per gli schiavi, prima, e per le risorse minerarie dopo. Per cui, indubbiamente una mia carenza, mi son sentito parecchio ignorante nei confronti della terra africana in cui son stato. E, continuando questo pensiero, mi son chiesto come possiamo comprendere quel che accade in quel continente o risolvere problemi connessi ai flussi migratori se non conosciamo / vogliamo conoscere nulla di ciò che è stato il passato (e il presente) di quelle terre.
D'altra parte, la situazione dell'Africa appare simile a quella che si sperimenta in aeroporto a Dakar, dove è netta la divisione tra chi "sa/può" e chi "non sa/non può": i primi accedono alla saletta vip/self service e mangiano, bevono, stanno comodi in attesa del volo, gli altri restano nell'ignoranza e negli spazi destinati alla massa.

  



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