Regia: Paolo Genovese
Anno: 2017
Genere: drammatico
Cast: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Sabrina Ferilli, Silvia D'Amico, Rocco Papaleo, Giulia Lazzarini, Vinicio Marchioni
La trama in breve:
Film italiano del 2017, adattamento cinematografico della serie americana The Booth at the End, che ritrae un uomo misterioso, seduto giorno e notte allo stesso tavolo di un ristorante, dove riceve dei visitatori. Nessuno conosce la sua vera identità, ma tutti sono disposti a confessargli i loro segreti più nascosti e i desideri più grandi, che l’uomo sembra in grado di realizzare. “Si può fare” ripete a ciascuno: dopo aver brevemente consultato la sua agenda, chiede loro di svolgere un compito, grazie al quale le loro richieste saranno esaudite... (fonte comingsoon)
Il mio commento:
Me l'ero annotato anni fa, quando uscì al cinema, e recentemente ho avuto l'occasione di vederlo su Netflix, complice la durata relativamente breve del film e del mancato impegno con i consueti allenamenti serali. Non ho mai visto la serie a cui si ispira - cosa che un po' mi ha smorzato gli entusiasmi perché pensavo fosse un'idea originale - ma nel complesso credo sia stato fatto un buon lavoro e mi sento di consigliarlo in quanto capace di coinvolgere e instaurare un dialogo con lo spettatore.
La storia procede spedita, senza fronzoli, tutta concentrata nel bar "The place" in cui si svolgono le vicende e dove i vari personaggi si avvicendano al tavolo di Mastrandrea. Di quel che vivono o fanno realmente fuori da lì non ci viene mostrato niente, lo spettatore ascolta e medita sulle loro esperienze basandosi su quel che rivelano di se stessi e sulle loro confidenze. Persone comuni, sconosciuti, che per motivi diversi si presentano da questa misteriosa entità che può esaudire i loro desideri: non si sa come sappiano che sia lì, non si sa nemmeno se è un uomo particolarmente abile e attento o una creatura sovrannaturale, fatto sta che di lui si fidano e da lui ricevono compiti, alcuni efferati e discutibili, che senza indugio cercano di attuare (creare una bomba e farla esplodere, compiere una rapina, pestare a sangue una persona...ma anche rimanere incinta, proteggere una bambina, aiutare delle donne ad attraversare la strada...).
Quelle proposte sono storie di persone che si sfiorano, che sembrano trovare una svolta o che rischiano di perdersi definitivamente. E in tutto ciò il personaggio impersonato da Mastrandrea se ne rimane lì, sempre più stanco, stremato, sfinito dall'assorbire l'umanità e la disumanità che gli si para dinnanzi. Persone che chiedono, che vogliono, che cercano ma nessuna che lo guarda veramente, che gli parla per sapere come sta, come si sente, nonostante il suo volto lasci trasparire un'estrema solitudine e stanchezza. Tutti tranne Angela, impersonata dalla Ferilli, che pian piano fa breccia nelle sue difese, instaurando un rapporto di dialogo e amicizia.
L'uomo misterioso infatti non ha un passato, non ha una famiglia o un luogo a cui tornare, è una sorta di vittima del proprio destino, possessore di un'agenda in cui annota episodi, situazioni, parole ed emozioni altrui fino al punto di svolta, in bene o in male, dei propri interlocutori. È lì quando il locale apre ed è ancora lì quando chiude. Vive in quel posto, "nella sua parte" di tavolo, senza giudicare o commentare le vite altrui, semplicemente offrendo possibilità. Un personaggio sfuggente, ma comunque affascinante, capace di imprimersi e ben reso da Mastrandrea.
E assieme a lui, anche i vari interlocutori offrono una buona esperienza recitativa, capace di interessare e catturare l'attenzione dello spettatore che si deve necessariamente basare sulle loro parole per comprendere cosa accade fuori da quel posto senza tempo che è il bar The Place.
Lo spettatore infatti se ne resta lì, a osservare e a immedesimarsi, a chiedersi se ha senso ciò che fanno, se la loro fiducia è ben riposta o meno, a pensare se sia tutto un gioco a incastri, se ci siano trucchi e, magari, a chiedersi cosa farebbe al posto loro o a domandarsi per quale motivo perseverino in certi comportamenti e non si avvedano della deriva che han preso. D'altro canto, non è poi nemmeno difficile immedesimarsi, e domandarsi cosa si sarebbe disposti a fare o accettare per guarire da una malattia, per salvare un proprio congiunto o ritrovare l'amore perduto.
Il film non dà risposte: al pari dell'uomo misterioso offre degli scorci di vita, delle pagine di un'agenda su cui annotare brandelli di vita, da conservare o da lasciare andare, bruciandoli, dopo che l'accordo viene concluso o dopo che si è finalmente giunti ad una svolta, ad un cambiamento stravolgente, nel bene o nel male che sia. Concetti come bene o male che, seppure presenti, non vengono esplorati o usati per etichettare motivazioni o comportamenti dei personaggi, ma presi come semplici elementi dell'esistenza e del continuo fluire del presente. In fondo, chissà quanti posti come "the place" esistono, luoghi di passaggio in cui le vite di persone sconosciute si sfiorano, inconsapevoli, creando presupposti per conseguenze impattanti nelle esistenze altrui, magari legate al caso o magari legate a scelte estreme di qualcuno messo alle strette dalla propria condizione umana. Senza necessariamente il coinvolgimenti di uomini misteriosi che affidano compiti, intendo.
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