sabato 21 marzo 2015

Life in a Day

Titolo: La vita in un giorno
Titolo originale:  Life in a Day
Regia: Kevin Macdonald
Anno: 2011
Genere: documentario
Cast: persone qualunque da tutto il mondo

Descrizione:
24 luglio 2010. È questa la data a cui fanno riferimento tutte le immagini che si vedono in questo documentario dall'originale concezione. La società di produzione di Ridley e Tony Scott, in collaborazione con YouTube, aveva chiesto di inviare immagini riprese in quella giornata da tutte le parti del mondo. Hanno risposto filmmaker o videoamatori da 197 Paesi per un totale di circa 80.000 cortometraggi. Una mole immensa di lavoro per i selezionatori che hanno portato il materiale a una durata di 100 ore per poi ridurlo drasticamente agli attuali 95 minuti.  (fonte mymovies)

Il mio commento:
Questa volta la pellicola di cui vado a ciarlare non è un film vero e proprio, con trama e realizzazione discutibili, bensì un progetto collettivo realizzato su iniziativa dei fratelli Ridley e Tony Scott grazie a Youtube e ai contributi di numerosi partecipanti da tutto il mondo. In pratica è un Social Movie globale, per cui non c’è uno sviluppo vero e proprio con uno o più personaggi da seguire, semplicemente viene esplorato il mondo attraverso testimonianze visive raccolte nella medesima giornata. 
Il risultato complessivo è quello di un variegato e suggestivo documentario nel quale si esplorano le diversità e le ricchezze che la razza umana possiede dal punto di vista, appunto, della diversificazione delle culture e dei modi di essere e di sentire.
Il montaggio delinea comunque una certa sequenzialità tra i cortometraggi degli utenti, soffermandosi sui diversi momenti della giornata e proponendo uno scorcio di come vengono affrontati in Occidente, in Africa, in Asia e via dicendo. Il risveglio, la colazione, la nascita, il lavoro, il viaggio… momenti della giornata che per quanto possiamo considerare banali e quotidiani riescono comunque a destare interesse o curiosità solo per il fatto di vederli vissuti da persone altre rispetto a noi, in contesti familiari o ignoti.
Non mancano poi nel film alcune situazioni “forzate”, in cui vengono sottoposti dei quesiti - cosa ami, cosa temi... - e ciascuno dei contributi mostrati permette l’esposizione di un punto di vista. Interessante notare come certe priorità e certe preoccupazioni cambino, a seconda del contesto di vita: se nel Primo mondo le paure più grandi riguardano la perdita del partner, nel Terzo mondo sembra destare maggior preoccupazione il pensiero di riuscire a tornare a casa sano e salvo.

Sono ovvietà, certo, però sono considerazioni che sono per ciascuno di noi - noi che abbiamo la fortuna di vivere nel Primo mondo, oserei dire - qualcosa di cui non teniamo conto. Ci meravigliamo, di indigniamo e via dicendo ma poi la cosa finisce lì. In fondo, sono realtà distanti da noi, che non consideriamo "nostre" sebbene accadano sotto il medesimo cielo sotto cui viviamo pure noi.
La pellicola gioca quindi su parallelismi e contrasti, sostenuta da alcune canzoni e musiche che divengono collante e amplificatori di emozioni e sensazioni.  Una sorta di linguaggio universale che nonostante la babele di lingue e l’eterogeneità delle situazioni contribuisce alla partecipazione dello spettatore sia in un crescendo di dolcezza e poesia sia in termini di angoscia e cupezza.
Tra le sequenze che più mi son rimaste impresse ci sono i parallelismi tra i soldati americani che fanno gli scemi e il reporter afghano che cerca di mostrare come stanno realmente le cose dalle sue parti; ma anche la vita di stenti condotta da certi bambini tra la povertà di certe città sudamericane o l’impegno del ciclista coreano nel suo viaggio globale su due ruote. E non importa, come dice lui stesso, da quale Corea provenga, è un coreano. E prima ancora un cittadino del mondo come lo siamo tutti noi, un messaggio forte, che rema contro ogni etichettatura e razzismo.
Ancora mi è rimasta impressa la scena dell’uccisione di un vitello in un mattatoio, una scena piuttosto fredda e che comunque fa parte del ciclo naturale della vita e dell’economia. Niente di nuovo, per carità, solo che, al pari di altre situazioni – come il ragazzo che fa outing, l’altro che si rade per la prima volta, quello che dorme nel bosco mentre le sue bestie pascolano – pungolano lo spettatore ricordandogli quante cose diverse tra loro accadono nel mondo, in parallelo rispetto al tempo che egli vive. Situazioni ordinarie oppure straordinarie, molte magari nemmeno note o “ricordate”, nonostante tutti sappiamo che da qualche parte il cibo va coltivato o che non tutti se la passino proprio bene. 
Non ha senso quindi perdersi in egoismi e chiusure, sarebbe più saggio invece impegnarsi per conoscersi e capirsi. Uno spunto di riflessione che a mio avviso questo progetto vuole lanciare, ricordandoci che siamo comunque parte di una stessa enorme famiglia. 
Complimenti quindi a quanti hanno partecipato al progetto, alla delicatezza e al coraggio che hanno avuto nel proporre certe testimonianze, oltre che alla capacità di aver raccolto bellezza e significato nella normalità del loro quotidiano; e complimenti anche a chi si è impegnato nella selezione delle scene da montare e al montaggio delle stesse, un lavoro immane considerando la mole di video ricevuti da tutto il mondo.



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