sabato 13 agosto 2011

..:: Splice ::..

Titolo: Splice
Anno: 2009
Genere: thriller, fantascienza, horror


La trama in breve
Realizzato a partire dal 2007 grazie all’interesse di Guillermo Del Toro, Splice è in realtà un progetto che il cineasta italo canadese Vincenzo Natali cullava sin dalla fine degli anni 90, dopo il tanto acclamato “The Cube” con cui ha raggiunto una certa notorietà internazionale. Distribuito nel corso del 2010, il film si presenta come un thriller misto tra fantascienza e horror ma, nonostante la presenza di tematiche attuali e inquietanti e un discreto utilizzo di effetti speciali, non riesce a convincere del tutto.
Clive ed Elsa discutono...
La trama ruota attorno all’attività di Clive ed Elsa, due genetisti al soldo di un’importante multinazionale che lavorano alla sintesi di proteine e altre sostanze biologiche estraendole da creature ibridate. Queste vengono generate artificialmente per mezzo di sofisticate tecniche di manipolazione e innesti genetici, indicate nel film come splicing che, letteralmente, significa congiungere. Nonostante il veto imposto loro dalle alte sfere dell’azienda, galvanizzati dai successi ottenuti in seguito alla creazione di “Ginger” e “Fred”, piccoli esseri informi e raccapriccianti,  gli scienziati decidono però di spingersi oltre. 
Mescolando tra loro DNA umano e animale danno vita ad una nuova specie, una creatura simile all’uomo ma al contempo aliena e disturbante. E’ però la forte somiglianza che essa dimostra con l’homo sapiens sapiens a risultare spiazzante, suscitando comprensibili dubbi etici ed esercitando un fascino che rasenta il morboso. I due decidono così di crescerla segretamente, tenendola nascosta al mondo, educandola quasi fosse loro figlia. Dren, questo il nome con cui la identificano, si rivelerà essere ben più di questo, uno scherzo della natura che saprà stravolgere l’esistenza dei due genetisti, compagni nella vita e professionisti vincolati agli interessi della multinazionale per cui lavorano.  

Il mio commento
Malgrado l’idea di base della sceneggiatura, firmata dallo stesso Vincenzo Natali, sia più che discreta e conturbante, il risultato finale pecca in termini di efficacia e coinvolgimento dello spettatore. Girato tra Francia e Canada, il film offre uno spettacolo che, in termini di effetti speciali, trucco e ricorso alla computer graphic, si assesta su buoni livelli,  ma non riesce a mantenere la necessaria tensione e la giusta quantità di pathos: il regista dà invece l’impressione di non avere pieno controllo delle vicende, smarrendo talvolta anche i riferimenti spazio temporali. 
Ecco Ginger e Fred
In particolar modo, se la prima parte risulta discretamente costruita e tesa, permeata da un alone di mistero e da un carico di aspettativa che va via via crescendo, la seconda sembra invece meno solida e organica, più didascalica e disomogenea, sfociando in un finale concentrato su improvvise aggressioni in stile horror anziché concedere spazio a riflessioni in chiave fantascientifica.
Indubbiamente le tematiche proposte e gli elementi su cui verte il film sono notevoli e variegate, ma il prodotto finale si assesta sulla sufficienza, non riuscendo far scattare nello spettatore forti e contrastanti reazioni su quanto visto.

Riflessioni e quesiti vengono in realtà accarezzati nel corso dell’intero arco narrativo ma senza mai giungere ad una condanna o ad un’esaltazione totale delle azioni compiute da Clive ed Elsa, quasi limitandosi a fornire un punto di vista distaccato e neutrale. Un effetto cui contribuisce la scelta di creare un mondo chiuso attorno alla coppia di genetisti, in cui l’ambientazione e il background vengono ridotti ai minimi termini, senza fornire sufficienti elementi per giudicare gli eventi da un diverso punto di vista. Gli altri personaggi sono ridotti a effimere macchiette e, di conseguenza, quanto proposto allo spettatore è per lo più mediato dal duo di genetisti che hanno creato la creatura Dren, nome attribuitole sull’onda di un gioco legato alla scritta “Nerd” che compare sulle magliette degli scienziati, acronimo dell’azienda per la quale lavorano.
La piccola Dren...
D’altra parte, se da un lato può risultare facile non attribuire importanza alle creature informi su cui si concentrano le sequenze iniziali del film, che si apre con il parto di una di queste, è invece molto più complicato prendere le distanze dall’ibrido antropomorfo. Nata dalla mescolanza di geni di esseri viventi diversi – rettili, pesci, volatili, mammiferi – Dren assume rapidamente caratteristiche similari a quelle di una giovane donna, acuite dallo speciale trattamento ad essa riservata da Clive ed Elsa che, in un certo senso, la plasmano a proprio piacimento. In quest’ottica, la sua genesi può assumere anche una connotazione religiosa, richiamando quelle dinamiche creazionistiche narrate all’inizio della Bibbia: esattamente come Adamo ed Eva, ai due scienziati viene conferito il potere di governare la natura e posto dinnanzi un limite da non violare.
Analogamente al peccato di cui si macchia Eva, che si lascia indurre in tentazione, è proprio la genetista donna, più ambiziosa e ossessionata dall’esplorazione scientifica in campo bio-ingegneristico, a lasciarsi eccessivamente coinvolgere dall’esperimento, spingendo per la sua attuazione e finendo poi con l’instaurare un rapporto similare a quello che lega madre e figlia: gioca con Dren, le insegna a riconoscere oggetti e persone, la veste, la trucca, la rimprovera …
Clive invece si dimostra inizialmente più distaccato e scettico, mantenendo quella giusta distanza che dovrebbe contraddistinguere tutti gli uomini di scienza che pur coinvolti in un esperimento cercano di guardare ad esso con spirito razionale e oggettivo. A differenza della propria compagna egli vede nella chimera da loro creata un’aberrazione, un imperdonabile errore a cui porre rimedio riconoscendo che è venuta meno l’effettiva comprensione delle conseguenze del loro operato e che, forse, l’esperimento ha sconfinato oltre i limiti imposti all’uomo. Proprio a quest’ultimo personaggio, impersonato da un Adrien Brody un po’ sotto tono, viene relegato il compito di esternare dubbi e considerazioni etiche su quanto compiuto: fin dove è lecito spingersi? Può la scienza avere limiti e arrendersi ad essi? Quello realizzato è effettivamente un esperimento destinato alla ricerca medica o è solo un riprovevole capriccio? E chi riuscirà a garantirne il controllo, chi si farà carico della responsabilità derivante dall’aver dato vita ad un simile abominio? 
...cresce....
Domande più che comprensibili che però Elsa dipana rapidamente, forte anche dell’ascendente che esercita sul proprio compagno. Il personaggio impersonato da Sarah Polley appare infatti molto più carismatico e determinato: vede nello sviluppo di Dren una sfida da vincere, una conquista di tipo imprenditoriale e scientifico da ottenere a tutti i costi. E prima degli altri. Poco si cura delle implicazioni etiche e morali che riguardano la chimera che hanno generato: essa esiste e come tale va accettata. Non vede cioè in Dren un errore ma un’opportunità, un’occasione anche per se stessa, per essere madre e affermare il proprio controllo sulle leggi naturali che governano il mondo o per riscattarsi da un trauma familiare che rimane solo vagamente accennato.
Con il trascorrere del tempo, mano a mano che Dren cresce e, letteralmente, evolve, il film sposta  l’attenzione su aspetto meno biologici e più legati all’emotività della chimera. Essa non è certamente un animale privo di sentimenti ed emozioni: possiede delle espressioni facciali, ha un intelletto vivace, un carattere proprio, una voce. Si potrebbero scorgere in lei richiami a creature della letteratura horror come il mostro descritto nel Frankentein di Mary Shelley o agli esperimenti genetici compiuti nel romanzo L'isola del dottor Moreau di Herbert George Wells anche se, in realtà, Dren si prefigura come un essere originale: non si tratta di un animale mutato, di un uomo stravolto da folli esperimenti o di un cadavere rianimato. Essa è invece una forma di vita nuova capace di attraversare nell’arco di pochi mesi tutte le tappe dell’evoluzione divenendo qualcosa che trascende la fisicità dei suoi stessi creatori: grazie alle caratteristiche della sua particolare struttura genetica, la si potrebbe considerare una sorta di evoluzione forzata dalle razza umana, prestando il fianco a considerazioni in materia di eugenetica. Dren è quindi uno specchio che riflette l’immagine dell’uomo futuro al quale potrebbero venire innestati geni selezionati da anfibi oppure da rettili. 
...o, se cresce...
Oltre a ciò risulta altrettanto immediato vedere in lei soltanto l’ombra di “Ginger” e “Fred”: la chimera non si trova affatto al medesimo livello di queste creature informi, cresciute in laboratorio solamente a fini di produzione farmaceutica e che, pertanto, possono quasi considerarsi “oggetti usa e getta”, funzionali alle sole logiche del mercato. La ragazza dimostra invece esigenze e modi di fare analoghi a quelli di un’adolescente, compreso il desiderio di amare e di essere amata. Anche in questo caso dubbi e spunti di riflessione sorgono spontanei, ma tutto viene presentato in modo troppo repentino, quasi che l’attenzione della produzione fosse concentrata sull’arrivare a proporre originali scene di amplessi non convenzionali più che occasioni di reale approfondimento. Molto si gioca sul piano dell’attrazione dettata da impulsi meramente fisici, amplificati dal corpo snello e sinuoso di Delphine Chanéac, modella e attrice francese scelta per impersonare Dren da adulta, dotata pure di una discreta espressività che le permette di offrire sia espressioni feroci che innocenti. In quest’ottica l’”incidente” con Clive appare quasi un evento naturale anche se, a tutti gli effetti, normale non lo è affatto - consideriamo pure che, per certi versi, potrebbe addirittura venir interpretato come un rapporto incestuoso.
Ben diverso è invece l’impatto che suscita l’accoppiamento tra Dren, misteriosamente evoluta in maschio, ed Elsa: in questo caso si tratta di effettiva violenza ma con l’aggravante che è l’uomo, e non la Natura, a risultare vittima. Una prospettiva che di conseguenza appare più riprovevole e disturbante rispetto alle dinamiche nelle quali è invece l’uomo ad avere il dominio sulle forze naturali.
Un'immagine spettacolare, orrorifica
e sanguinolenta, ricca di contrasti
cromatici ed espressivi
Purtroppo, a causa della repentinità con cui si sviluppano le ultime sequenze del film, più violente e concitate ma decisamente sconclusionate, il finale risulta cupo e glaciale, quasi smorzato e depauperato di profondità. Il fascino di una creatura contemporaneamente aliena e umana, sana e malata – non va sottovalutato l’eco che la testa rasata può avere nel richiamare alla mente immagini di persone sottoposte a cure di trattamenti medici, quali chemioterapia – viene di fatto polverizzato cedendo il posto al “mostro”, all’incubo che il volto, gli occhi grandi e le forme effeminate di Dren in un certo qual modo mitigavano e che permettevano di accettare.  
In tal senso, seppure innegabilmente inquietante per le prospettive che presenta, difficilmente gli spettatori riusciranno a cogliere appieno la portata del finale. Ancora frastornati dal sangue, dalle uccisioni e dalle metamorfosi viste solamente qualche istante prima e che, nel complesso, sbilanciano parecchio l’ultima parte del film, la scelta compiuta da Elsa passa troppo velocemente senza riuscire ad imprimersi e a far sussultare sebbene, da sola, risulti fortemente significativa.




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