Titolo: Videocracy - Basta apparire
Regia: Erik Gandini.
Anno: 2009
Genere: Documentario
La trama in breve:
Un documentario che, a partire dalla trasmissione di uno strip casalingo di una delle prime televisioni private, affronta il tema del potere della televisione in Italia grazie a materiale di repertorio, a interviste esclusive a Lele Mora e a Fabrizio Corona e alla storia di un giovanotto fortemente intenzionato a diventare il Van Damme cantante della televisione.
Diciamolo subito a scanso di equivoci: per il pubblico italiano (sia che sia favorevole o sia che sia contrario a Berlusconi e al suo mondo) non c'è nulla di nuovo sotto il sole tranne qualche gustoso particolare. La vetrina veneziana diventa invece importante come trampolino di lancio per un reportage che batte bandiera svedese e che, quindi, può circolare all'estero. In quelle sedi oltre confine Videocracy potrà trovare la sua giusta collocazione e contribuire a un dibattito sulla situazione italiana. (fonte mymovies)
Il mio commento:
Attendevo la visione di questo film e confermo che si tratta di un documentario da vedere e su cui riflettere, abbastanza asettico nel documentare una certa rivoluzione culturale che c'è stata e che tuttora è in atto nel nostro Paese.
Probabilmente non dice nulla di nuovo, nel senso che l'importanza che riveste la televisione nel tratteggiare dinamiche di potere e di comunicazione, oltre che nel delineare obbiettivi esistenziali e manie nostrane, è cosa più che nota.
E' comunque inquietante e triste assistere alla descrizione di tutto ciò, e capire di essere impotenti.
La televisione, ma certamente questo discorso può essere ricondotto anche ad altri media come stampa e internet, gioca un ruolo determinante nel formare le coscienze. Nel produrre cultura e proporre modelli di vita a cui, nel bene o nel male, guardare. Nel tempo è divenuta un'arma, di distrazione o meno, che viene usata per plagiare, in un gioco perverso all'arricchimento e al divertimento.
E noi, noi popolo italiano, siamo al contempo vittime e artefici di un certo gioco all'immagine. Siamo noi che comunque vogliamo andare in televisione, vogliamo apparire. Sappiamo che si tratta di un mondo marcio e vuoto, ma non possiamo sottrarci al bisogno di "essere popolari" che, ormai, è divenuto nostro pane quotidiano.
Apparire significa notorietà, potere e denaro; e solo chi possiede denaro e potere può considerarsi "realizzato".
In questo contesto, vivere come persona qualunque, come un semplice operaio ad esempio, è sinonimo di fallimento esistenziale, di un anonimato difficile da accettare. O, per lo meno, questo è quello che sembra vivere la massa.
Purtroppo chi controlla i media lo sa e quindi gioca e alimenta questo desiderio, questo bisogno indotto. Si cerca allora di portare la gente in tv, di rendere l'esperienza televisiva alla portata di tutti, lasciando intendere che solo all'interno della "scatola sorda" vi è la vita, il successo, la felicità. Il paradiso forse.
Di certo il divertimento, quel divertimento privo di responsabilità che, nel bene o nel male, ci viene insegnato e che, in alcuni casi, ha condotto qualcuno alla gestione del potere democratico.
Il documentario propone inoltre una descrizione delle figure chiave che determinano l'ascesa e l'affermazione degli individui, gente priva di scrupoli e insulsa che comunque comanda e decide in nome di non meglio precisati criteri (e non sempre sembra scegliere bene...). Agenti e produttori che, al pari di semi divinità, risultano intoccabili e immuni a tutto. Persone (marce) cui però la gente si rivolge, desiderando un aiuto, una spinta, un assaggio di quel potere/successo che loro possono elargire.
A loro discrezione, in base a "messaggi divini" che solo loro sentono.
La cosa triste è che, in realtà, siamo noi stessi, noi come "popolo italiano" prima ancora che come spettatori, ad alimentare dinamiche inquietanti.
Ad accettarle nonostante siano costantemente sotto i nostri occhi con il risultato che ne veniamo doppiamente condizionati. Già, perchè oltre a creare bisogni e modelli, la televisione insegna che non c'è bisogno di istruzione. Le persone che emergono o che ci lavorano, quelle che contanto diciamo, non lo fanno in virtù di qualità artistiche o culturali. Anzi, tutt'altro.
Lo dimostrano benissimo i reality o le finte trasmissioni "d'arte" come "Amici" o "xFactor": gente che balla e canta tutto il giorno. Mica gente che si spacca 8 ore al giorno ad imparare a suonare la chitarra o il pianoforte e che poi rimane nelle retrovie, in ombra, anche se magari finisce con l'accompagnare "artisti" famosi.
Senza contare le indubbie lauree maturate da calciatori e veline.
E senza cultura, temo, diviene ancora più facile cadere nella trappola dei media e della manipolazione, in una corsa all'imbarbarimento e alla devastazione delle regole di base della democrazia.
In questo senso, pure votare per chi offre divertimento e scorciatoie per il successo diventa un fatto naturale. Così come vivere il "potere" come forma privilegiata per "farsi i cazzi propri" (like Corona docet) piuttosto che per costruire o farsi carico di responsabilità collettive.
In conclusione, guardate questo film e ponderate ^_^
Giusto per dire: Videocracy censurato da Rai e Mediaset. I due principali sistemi televisivi italiani (controllati da chi? by Leo) si sono rifiutati di mandare in onda il trailer del nuovo film della casa di produzione Fandango, diretto da Erik Gandini... (continua)
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