Editore: Edizioni XII
Autore: Brian Keene
Genere: horror
Pagine: 312
“Nel luna park della narrativa horror, Brian Keene gestisce le montagne russe!”
Cemetery Dance Publications
Questa l’entusiasta presentazione che la nota realtà editoriale del Maryland, specializzata in narrativa horror, propone per il prolifico Brian Keene. Indubbiamente l’autore della Pennsylvania, vincitore di riconoscimenti prestigiosi tra cui due Bram Stoker Award e uno Shocker Award, con già 16 romanzi all’attivo e alcune antologie di racconti, risulta essere un’ottima penna, un abile maestro di narrativa horror contemporanea.
Il suo “I vermi conquistatori” (The conqueror worms) pubblicato nel 2006 ma tradotto e distribuito in Italia a partire dal 2011 da Edizioni XII in un elegante volumetto arricchito dalla splendida copertina del duo Angiulli-Mondino (Diramazioni) costituisce una valida lettura capace di trascinare il lettore in un contesto apocalittico da cui non sembra esservi scampo alcuno. L’ambientazione si fa angosciante sin dalle prime pagine quando, attraverso la penna di Teddy Garnett veniamo introdotti all’orrore da lui sperimentato: la Terra è divenuta ormai un pianeta incompatibile con la sopravvivenza del genere umano, vessata da piogge insistenti e continuative. Il sole stesso è poco più che un pallido miraggio al di là della nebbia umida e delle nubi che coprono il cielo mentre, lentamente, ogni forma di vegetazione o di vita animale cede alla furia degli elementi, senza dimenticare i devastanti tsunami che hanno inondato continenti e nazioni risparmiando solamente brandelli di città o qualche cima di montagna. In un tale infermo umido, solamente poche manciate di comunità umane sopravvivono, cibandosi delle poche provviste disponibili e adattandosi a nuove precarie condizioni di vita; tutt’attorno, la pioggia continua a scendere ininterrottamente e a erodere le poche terre emerse.
Teddy è uno dei pochi fortunati ancora in vita, un tenace vecchietto sopravvissuto in solitaria abbarbicato nella propria abitazione montana per quasi tutto il tempo, sin da quando la pioggia ha iniziato a cadere.
Ma non è il solo supersite. Veniamo così a scoprire che attorno al quarantesimo giorno dall’inizio del secondo diluvio universale altri si sono uniti a lui, un suo vecchio conoscente alla disperata ricerca di un rifugio - dopo che la sua abitazione è stata letteralmente risucchiata nel terreno - e alcuni sconosciuti in fuga da Baltimora, precipitati poco distante dalla proprietà del vecchio e accomunati dalla medesima disperata lotta alla sopravvivenza.
Ed è a questo punto che il resoconto di Teddy si fa concitato e inquietante, lasciando emergere tutta la disperazione e l’inquietudine provate che, proprio grazie all’escamotage di affidare la narrazione a un personaggio del romanzo, per lo più ottantenne e gravemente ferito, divengono vivide e coinvolgenti per il lettore. Se già la situazione inizialmente descritta non era delle più rosee, le probabilità di un lieto fine si fanno ancora più remote mano a mano che il racconto procede e le condizioni del narratore si aggravano.
L’erosione delle terre ha infatti portato in superficie “cose che sorgono dalla polvere della terra e annientano le speranze degli uomini”, creature ancestrali e nauseabonde fuoriuscite dai recessi del sottosuolo e dalle profondità dell’oceano alla ricerca di cibo. Attraverso le annotazioni di Teddy e, al suo interno, del racconto di Kevin, uno dei fuggiaschi di Baltimora, scopriamo che esseri immondi e colossali hanno fatto la loro comparsa: sirene e kraken (ribattezzato in Leviatano) e vermi grandi quanto mucche, autobus o palazzi interi (quest’ultimo ribattezzato Behemoth) minacciano la sopravvivenza delle specie terrestri.
In un crescendo di tensione e angoscia Keene ci porta ad affrontare diverse sfaccettature dell’orrore che confluiscono in un’ambientazione catastrofica a dir poco terrificante e priva della benché minima luce di speranza. La lotta è impari, ogni fuga vana, l’immedesimazione diviene totale, complice la scelta di affidare la narrazione proprio a un personaggio del testo, strategia che consente di far emergere un po’ alla volta tutti gli elementi dell’incubo in cui Teddy e soci sono precipitati. Perché oltre alle condizioni climatiche avverse e alle devastanti creature di dimensioni bibliche che aprono gigantesche voragini nel sottosuolo, i nostri devono vedersela anche con la “Peluria Bianca”, una malattia che atrofizza gli esseri viventi e che sembra esser propagata dalle piogge, con la follia di nuovi culti che offrono sacrifici ai mostri in nome di non meglio precisati rituali arcani e con la brutalità di un vecchio pazzo apparentemente posseduto dai vermi stessi, analogamente a quanto accade con i parassiti del manga Manhole di Tetsuya Tsutsui.
Inoltre nessuno dei personaggi conosce - né l’autore si sbilancia per fornire dettagli in tal senso - il motivo che ha portato il pianeta al collasso e alla comparsa di simili bestie: potrebbe trattarsi del fallimento di un qualche esperimento scientifico, ad esempio legato al progetto Haarp, un po’ come accade in The Mist di Stephen King; oppure di riti di magia nera ormai fuori controllo, come lascerebbero intendere i cosiddetti Satanisti di Baltimora, impegnati ad accendere falò e a offrire sacrifici umani al Kraken, una sorta di Cthulhu lovercraftiano; o ancora del giudizio divino che ha deciso di abbattersi sull’umanità intera, per purificarla, esattamente come ai tempi di Noè. Tesi quest’ultima che viene sostenuta dai passi della Bibbia che Teddy, uomo retto e giusto, devoto e credente al pari della defunta moglie Rose, legge e cita a memoria riferendosi a mostri quali Leviatano e Behemoth, chiudendo poi il proprio racconto con un riferimento che potrebbe alludere all’arrivo della tanto attesa colomba della pace o, addirittura, alla comparsa di mastodontici esseri alati - al pari dello Ziz - pronti a cibarsi dei vermi che hanno ormai conquistato la superficie terrestre. Il finale aperto, seppure non affatto idilliaco, concede margine alle più disparate supposizioni ma non placa di certo la curiosità del lettore.
Malgrado la tendenza, non certo una svista ma calcolo, a non spiegare mai troppo, e alla discutibile scelta di relegare il ruolo di protagonista a un personaggio ottantenne che, per tonicità e resistenza fisica, parrebbe aver quanto meno quindici anni di meno, il merito di Keene è quello di offrire una lettura avvincente e inquietante al contempo, decisamente molto cinematografica. La leggibilità è molto buona e, unitamente alla scorrevolezza del resoconto di Garnett, garantisce un’esperienza di lettura che non risente di particolari incoerenze o sbavature, forse addirittura troppo minuziosa e approfondita nonostante la precarietà con la quale Teddy dichiara di averla scritta. La tensione viene mantenuta sempre su buoni livelli così come il punto di vista risulta fedele alla psicologia dei personaggi del racconto che divengono rapidamente familiari e tridimensionali. Una menzione d’obbligo va poi allo stile dell’autore statunitense, efficace e mai monotono, capace di arrivare diretto al lettore e di convincerlo, arricchendo scene e situazioni di particolari e di riferimenti che contribuiscono a rendere vivido ogni passaggio, talvolta adducendo particolari vagamente scurrili che contribuiscono a definire e a colorire certe scene (difficile dimenticare il riferimento al rutto immenso del Behemoth). Non mancano nemmeno momenti in cui l’angoscia si attenua per concedere spazio a un minimo di quiete e di normalità, spesso prima di qualche concitato colpo di scena.
Le creature proposte sono inoltre un equilibrato collage di bestie ancestrali e creature, comunque, relativamente familiari agli amanti del genere fantastico: troviamo vermi di dimensioni inaudite, che richiamano i graboid della saga di Tremors o i vermi delle sabbie di Dune, oppure le sirene, esseri mitologici noti sin dai tempi dell’Odissea ma presenti anche in giochi di ruolo o in opere fantasy di più recente stesura. Sebbene nel suo “I vermi conquistatori” Keene proponga impossibili scontri titanici, in realtà non viene inventato nulla di nuovo: semmai ogni elemento è da lui attentamente amalgamato e dosato per garantire suspance, coerenza e solidità all’intero impianto narrativo.
Il romanzo, quanto mai realistico e plausibile, rappresenta quindi un ottimo prodotto letterario e rende merito a Edizioni XII per aver voluto tradurre e distribuire in Italia un autore che, per ora, non ha probabilmente goduto di un’adeguata visibilità nel mercato letterario nostrano, uno scrittore che proprio grazie a “I vermi conquistatori” è possibile apprezzare pienamente.
Accanto alla soddisfazione per una simile esperienza di lettura e alle lodi per l’innegabile talento narrativo dello scritture, va però colta l’occasione per muovere anche qualche critica in quanto alcuni elementi del romanzo potrebbero risultare un po’ ostici da accettare. Come accennato poc’anzi, l’estrema lucidità e precisione del resoconto di Teddy risulta infatti sospetta, riuscendo a confezionare un diario impeccabile e stilisticamente perfetto malgrado sia ferito e prossimo alla fine. Analogamente, la presenza del lungo racconto di Kevin potrebbe costituire per certi lettori una parentesi troppo ampia, che smorza il crescendo costruito sino a quel momento proponendo un forte cambiamento di contesto, una Baltimora divenuta improvvisamente città marittima, al pari di certi paesaggi visti in Blue Submarine No. 6 o di alcune illustrazioni del manga Hotel di Boichi, contrapposta ai paesaggi rocciosi degli Appalachi.
Per finire il buio risulta un elemento decisamente sottovalutato: l’oscurità totale di un mondo senza più luci artificiali né stelle sicuramente non consente quella visibilità che invece Teddy dimostra di avere in quell’ultima notte, prima di cedere definitivamente al disperato e folle bisogno di nicotina, prima della comparsa del Behemoth, un immenso verme dalle dimensioni di una palazzina che divorerà ogni più intima speranza del gruppo di superstiti.
I vermi, esattamente come recita il titolo, costituiscono infine uno degli elementi che maggiormente riesce a caratterizzare questa storia horror, rendendola inquietante e cupa oltremodo, una sensazione acuita dalla natura irrazionale e incontrollabile che apparentemente posseggono. Esseri viscidi e ripugnanti, senza occhi né arti, con cui, diversamente da belve fameliche o alieni provenienti dallo spazio, sembra non essere possibile alcuna strategia. Resistenti e incomprensibili, capaci addirittura di minare quelle stesse fondamenta su cui si poggia l’arroganza della razza umana nel ritenersi a buon diritto padrona assoluta del pianeta Terra, rappresentano una minaccia difficilissima da contrastare. Il loro aspetto, il fascino preistorico che posseggono e il loro aspetto flaccido sanno risvegliare ribrezzo e timori irrazionali lasciando intuire che non sono necessarie armi o zanne per minacciare la vita terrestre. Perfettamente in linea con ciò, sembrano essere sufficienti la furia degli elementi o la presenza di batteri analoghi a quelli rinvenuti a Fukushima dopo il disastro nucleare del 2011 a minare le condizioni stesse della sopravvivenza, lasciandoci d’un tratto indifesi e sgomenti dinnanzi alla potenza sublime della natura o ai misteri che si celano nelle profondità della Terra e degli oscuri anfratti oceanici.
Nessun commento:
Posta un commento