Notavo oggi come un po' tutti si sia soggetti a strane forme di dipendenza "dalle cose". Dal cellulare, per esempio, senza il quale non si esce nemmeno di casa, non si esiste!! La macchina, senza la quale risulta impossibile ogni movimento superiore ai 100 metri. Il lavoro che, alla lunga, devasta le persone nel corpo e nello spirito. Oppure le tette. Me lo facevano notare una straordinaria combinazione di programmi televisivi che ho potuto osservare oggi poichè a casa dal lavoro nell'ora di pranzo. Prima è stato il turno di uno speciale pompatissimo di Studio Aperto. Il tema? Come fare una torta (e non sto scherzando...). Poi è stato il turno della Clerici ne "La prova del cuoco". In entrambi i casi, inquadrature dall'alto e ampie scollature...e tutto per il bene di noi omaccioni tette-dipendenti. Credo. In fondo, è compito della televisione fornire un valido servizio alla collettività, no? Pensate altrimenti a come si farebbe qui in occidente a campare senza un bel po' di donne nude a tutte le ore. Si andrebbe in crisi, ecco la verità! Chissà cosa pensano, per dire, immigrati che provengono da zone islamiche in cui le donne sono coperte e stra coperte sotto tonnellate di indumenti. Noi maschi italici invece mi sa che andremmo in crisi senza la nostra dose quotidiana di gnocca in televisione...
E giusto per parlare di dipendenza, perchè non toccare l'argomento droga? Anzi, di film sulla droga? Dico questo solamente perchè ieri ho visto "A scanner darkly", a metà tra l'animazione e l film vero e proprio: agli attori, famosi e che presumo abbiano girato realmente le scene, sono state poi sovrapposte le sequenze in grafica computerizzata e non. Un film che, come genere, può essere collocato sotto la voce "fantascienza", basato su un testo di Philip K. Dick e che per come si sviluppa e l'argomento trattato risulta essere una visione commovente, triste, difficile. Demenziale a tratti, disperata in altri, un po' come credo possa sembrare l'esperienza umana di chi finisce vittima della droga. Un film che, tra l'altro, mi ha fatto pensare a come la dipendenza sia una condizione umana necessaria alla sopravvivenza di certe dinamiche di mercato. Così come mi verrebbe da dire, un po' come suggerisce il film, che molto spesso la distanza tra "salvatori" e "distruttori" è molto labile e sottile.
Un po' come le case di farmaceutiche che per vendere vaccini segnalano l'arrivo di influenze e malattie varie anche se poi, magari, non succede niente e anzichè mille mila casi di persone ammalati se ne riscontrano poche centinaia. Per non parlare invece della dipendenza da farmaci che talvolta insorge nelle terapie legate a cure mediche.
Un po' come le case di farmaceutiche che per vendere vaccini segnalano l'arrivo di influenze e malattie varie anche se poi, magari, non succede niente e anzichè mille mila casi di persone ammalati se ne riscontrano poche centinaia. Per non parlare invece della dipendenza da farmaci che talvolta insorge nelle terapie legate a cure mediche.
Siamo tutti dipendenti quindi, chi più chi meno, chi solo dal caffè, chi pure da altre sostanze. Prime fra tutte l'aria e l'acqua senza le quali nemmeno vivremmo. Chi lo sa se prima o poi non si finirà tutti al supermercato a portare carriole di banconote per acquistare una cassa d'acqua? O al distributore a fare il pieno d'aria?
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