Dallo stesso regista di "21 grammi" e del drammatico seguito "sono 21 e mezzo: lascio?", ovvero Alejandro Gonzalez Inarritu ecco a voi Babel!!! Sono riuscito a vedere questo film durante la settimana scorsa, a spezzoni come di mio solito, e devo dire che non è malaccio. Anzi. Ha anche vinto qualche premio, come quello per la regia a Cannes, per cui la qualità c'era e confermo che c'è. Una pellicola che propone intrecci di vite diverse, eventi che accadono in aree differenti del mondo ma che sono comunque collegate nonostante distanze, linguaggi, situazioni apparentemente incompatibili e contrastanti. Ognuno dei protagonisti poi, a modo suo, sembra commettere o aver commesso degli errori che, in una sorta di domino, lo porteranno a perdersi oppure a causare la sofferenza altrui. Vedi il colpo di fucile dei ragazzini marocchini che è un po' il punto focale della vicenda che li riguarda e che coinvolge le vite di Richard (Brad Pitt) e Susan (Cate Blanchett....a se quest'ultima avesse avuto ancora i poteri che possedeva ne Il signore degli anelli...). Ma oltre a questo, quello che unisce le storie dei personaggi rappresentati è una certa dose di sofferenza, una sorta di solitudine che vivono e che contribuisce alla drammaticità della pellicola. Sentimenti ed emozioni che si amplificano ancor di più quando sulla scena vi è Chieko (Rinko Kikuchi), la ragazza giapponese sordomuta, ed il dialogo svanisce, il suono si annulla. Persino in discoteca dove il regista ci accompagna e ci fa sentire ciò che sente lei, ovvero niente. Ed è una cosa a dir poco insolita e commovente, soprattutto perchè per un attimo ci si accorge di quanto sia difficile la vita delle persone non "ariane", di come il linguaggio non sia solamente costituito da parole ed espressioni facciali, di come ci si dimentica troppo facilmente dei limiti altrui. Così come appare sconcertante fino a dove possano condurre banali errori di valutazione, come ad esempio dimenticare la "carta" che attesta che due bambini ti sono affidati in quanto loro badante...soprattutto se devi passare la frontiera e sei "diverso", in questo caso non statunitense. Qualcosa che molto presumibilmente si rifa al clima di tensione e sospetto che dall'11 settembre in poi è senza dubbio cresciuto negli USA. Percezione che ben si nota quando si seguono le vicende di Richard e Susan, vittime di attentato terroristico per la stampa, i media e le autorità e non di un incidente/bravata a dir poco tragica nella sue conseguenze. Indirettamente, tramite la stampa passerà solo l'immagine della violenza subita, del colpo di fucile, e non l'immagine dei cittadini marocchini che li hanno aiutati, accolti, curati. Come è accaduto con i popoli irakeno e afghano, senza dubbio dipinti come incivili e barbarici latori di morte. Un film che vi consiglio quindi, che son certo saprà colpirvi e lasciarvi un po' con l'amaro in bocca. Già perchè questo suggerisce nel suo complesso, emozioni che parlano di tristezza più che altro, non certamente di sorrisi e allegria. Questo anche per via delle musiche struggenti e malinconiche che ne fanno da sfondo e per le scene finali, giocate sul non detto e sulla solitudine, sulla mancanza e la privazione. Un film catartico direi, ma non nel senso del "poeta" Flavio Oreglio.
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