Titolo: I violini del cosmo
Autore: Alessandra Giusti
Editore: Elison publishing
Genere: narrativa
Formato: ebook
La trama in breve:
Anno 2070. Una città capitale di uno Stato governato dalla dittatura ha imposto come unica religione quella civile dell’Utile, declinandolo nella sua peggiore accezione, inserendo in TV, PC e iPod speciali programmi capaci di influenzare il comportamento della popolazione, oltre a operare un particolare tipo di censura. Ma in un’antichissima città sotterranea si alimenta un progetto collettivo di rivoluzione organizzato da intellettuali, artisti, esclusi, tra cui Luna, giovane pittrice dissidente. Tra poesia, humour, avventura, sapienza indios e un amore fuori dall’ordinario, I violini del cosmo ci seduce, invitandoci a cambiare prospettiva, considerando l’altro “divino” perché “portatore di diversità” e a credere nella forza della parola e dell’arte.
Il mio commento:
Esprimere un commento su un testo non è mai un compito facile, soprattutto quando l’occasione è nata da una proposta dell’editore dell’opera in questione.
Preciso che ho letto I violini del cosmo senza avere sottomano particolari coordinate quali l’identità dell’autrice oppure il genere o il pubblico di riferimento del racconto, per cui probabilmente questo mio intervento ha un peso relativo, forse minato da aspettative che non hanno trovato corrispondenza tra le pagine lette.
In primis, pensavo di trovarmi di fronte a un romanzo, mentre per sviluppo e lunghezza del testo l’opera della Giusti si configura come racconto. Dalla trama presente sul sito dell’editore, inoltre, avevo intuito si trattasse di genere distopico, per cui ammiccante per tono e scenari a quelli descritti in opere quali 1984 o V per vendetta. Per intenderci, ipotizzavo un’ambientazione cupa e oppressiva, dove la tensione si avverte e si respira a ogni momento, dove il condizionamento è pane quotidiano e la libertà solamente un sogno infranto, assassinato da dinamiche correlate al mero consumo di beni e al lucro.
Invece mi son trovato immerso in un contesto molto più solare e semplicistico, a tratti molto ingenuo. Il Partito ha sì imposto il suo controllo sulle dinamiche di vita dei cittadini ma tutto sembra svolgersi nella più totale serenità, senza particolari malcontenti o tragedie. Come si accenna nei primi capitoli, nel mondo in cui si svolgono le vicende descritte sono progressivamente state soppresse la democrazia e la religione, così come arte e media esistono solo per servire il volere di chi comanda.
Al di là dell’assenza di spiegazioni fornite su come sia avvenuto tale processo, fondamentalmente, non ho percepito tensione o pesantezza da parte dei comuni cittadini e questa sensazione può anche andar bene, creando un parallelismo con la situazione odierna. Quello che invece viene meno nelle circa quaranta pagine in cui si sviluppa la trama, è lo spazio per dettagliare dinamiche quotidiane, ritmi di lavoro o rapporti interpersonali. Gli stessi personaggi proposti vivono tutto con calma rilassata, a parer mio, seppure qualche evento di tensione sia pure descritto (vedasi quanto avviene alla bottega di Madame Rouge) ma rappresenti un episodio isolato e remoto in un contesto di rigida e oppressiva dittatura globale in cui emozioni e stati d’animo della cittadinanza sono monitorati per sottoporre pubblicità mirata. Un contesto che però tra l’altro esteso su scala mondiale - altrimenti che senso avrebbe imporre la lingua Glob a tutti i continenti? -, per cui immagino con poteri forti all’opera, con risorse unicamente votate a mantenere lo status quo, pronte a ricorrere a intercettazioni, repressione e compagnia bella in barba ai diritti umani e al buon senso. Invece, pare che sia facilissimo non solo esercitare attività sovversive (come dipingere) ma anche radunarsi in associazioni segrete che cospirano contro la dittatura e che pubblicizzano via mail l’avvento di una mobilitazione di massa. Se io fossi un reggente di una dittatura, credo che come minimo mi attiverei per limitare la partecipazione, creando eventi paralleli per obbligare la gente a disertare lo sciopero oppure screditerei questi sovversivi tramite i media governativi o semplicemente andrei a prenderli a casa e li crocifiggerei in piazza dopo averli torchiati assai e assai.
Questo invece non avviene e, con un’immediatezza sconcertante, non solo la manifestazione riscuote enorme successo in città ma, d’improvviso, il mondo intero cambia, le leggi vengono annullate e la dittatura abdica in favore della democrazia. Mi fa piacere trovare un lieto fine, per carità, però lo ritengo non poco assurdo e poco plausibile, considerando anche che tutto avviene in modo eccessivamente pacifico, senza nemmeno che si inneschino rappresaglie o contestazioni o che qualche despota si atteggi a vittima o comunque che qualcuno si opponga, magari pure in qualche altra parte del mondo, a un cambiamento che non si sa bene a cosa porterà. Tutto molto semplice, insomma, quasi come ritrovarsi dal centro città in una foresta o in un villaggio di pescatori, oppure quasi come vivere senza Whatsapp o Facebook, elementi questi che lasciano intuire che, probabilmente, questo racconto o è da considerarsi una sorta di favola o è da intendersi come opera giovanile di un’appassionata di scrittura.
Personalmente non vorrei risultare eccessivamente severo o cupo nell’immaginare scenari distopici, né voglio negare che vi possa essere speranza che la popolazione mondiale possa un giorno redimersi spontaneamente attraverso l’arte e la spiritualità, però sinceramente sono rimasto perplesso di fronte a quanto letto.
Guardando invece agli aspetti positivi dell’opera, posso dire di aver apprezzato lo stile semplice e immediato che facilita la lettura e, in alcuni punti, nel finale soprattutto, offre buoni slanci e immagini suggestive. Anche la copertina e il titolo proposto li ho graditi assai, molto evocativi e particolari.
D’altro canto, se I violini del cosmo è da intendersi come favola, manca decisamente lo spirito immaginifico e, presumo, certi elementi potevano essere del tutto rivisti per convincere il lettore di trovarsi davvero in un ipotetico mondo del 2070. Vedasi ad esempio il caso di Ixchel, ragazzina di origini Maya che porge alla protagonista, Luna, un libricino di poesia: perché invece non lasciar danzare le parole come ologrammi sospesi nell’aria o trasmetterli telepaticamente attraverso immagini mentali?
Voglio dire, già ora, nel 2015 tra siti web, video e canzoni vi è una pluralità di forme mediatiche per esprimere arte; immagino quindi che nel 2070 le possibilità siano ulteriormente moltiplicate. Fermo restando che di una ragazzina Maya si tratta – che già di per sé è poco credibile e spiegato - e che questa sua delineazione non ha praticamente il minimo peso nell’economia della storia (poteva essere armena o del Butan, per dire, non avrebbe fatto differenza).
La stessa protagonista, Luna, manca a mio avviso di caratterizzazione: risulta priva di background e soprattutto molto, troppo, naif per i suoi ventun anni. Ben diverso sarebbe stato se la Città Antica fosse stata governata unicamente da bambini, per dire, che con la loro fantasia e il loro animo puro si oppongono all’egida del Partito Unico che ha imposto la religione dell’Utile.
Per cui, di nuovo, esprimo la mia perplessità per un testo che mi immaginavo altro da quello che invece ho effettivamente letto. Ho comunque apprezzato la solarità e la speranza che lascia respirare, in particolar modo sentimenti di genuinità e di passione per quelle peculiarità della razza umana che la rendono davvero grande, come l’arte e la capacità di amare, contrapposte a quelle fredde logiche dettate dal consumismo che contaminano tutto e contro cui ci si dovrebbe porre con spirito critico.
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