Regia: Denis Villeneuve
Anno: 2016
Genere: sci-fi
Cast: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O'Brien, Nathaly Thibault, Joe Cobden, Russell Yuen, Julian Casey
La trama in breve:
Louise Banks, linguista di fama mondiale, è madre inconsolabile di una figlia morta prematuramente. Ma quello che crede la fine è invece un inizio. L'inizio di una storia straordinaria. Nel mondo galleggiano dodici navi aliene in attesa di contatto. Eccellenza in materia, Louise è reclutata dall'esercito degli Stati Uniti insieme al fisico teorico Ian Donnelly. La missione è quella di penetrare il monumentale monolite e 'interrogare' gli extraterrestri sulle loro intenzioni. Ma l'incarico si rivela molto presto complesso e Louise dovrà trovare un alfabeto comune per costruire un dialogo con l'altro. Il mondo fuori intanto impazzisce e le potenze mondiali dichiarano guerra all'indecifrabile alieno. (fonte mymovies)
Il mio commento:
Avevo sentito parlare discretamente di codesto film e, dopo averlo visto, non posso che confermare una mia certa qual soddisfazione.
Ok, la solfa dell'invasione aliena non è poi così nuova e un paio di escamotage usati per sbrogliare la trama potevano esser gestiti diversamente però in questo Arrival - ispirato al racconto Storie della tua vita di Ted Chiang - la presenza extraterrestre diviene per lo più un pretesto per parlare anche di altro.
Innanzitutto, a differenza di opere del medesimo stampo, dinnanzi alla minaccia aliena non vediamo stagliarsi solo la forza bruta americana che si prende la responsabilità di risolvere il problema a nome di tutta l'umanità bensì ci sono gli sforzi di coordinamento e di condivisione (almeno inizialmente) da parte di svariate nazioni che, a modo loro, cercano di comprendere con cosa hanno a che fare. Sarebbe stato interessante aver visto la medesima storia raccontata anche dal punto di vista dei cinesi o dei danesi o degli africani...giusto per avere una cartina al tornasole su modalità, intuizioni e impostazioni. La "guerra fredda" tra le nazioni che cercano di arrivare a risolvere "il mistero" (diciamola così) ad un certo punto poteva anche sfociare in altro: si tramuta infatti in competizione e in potenziale invito alla distruzione fratricida...e forse ci poteva pure stare che qualche nazione illuminata (tipo la Corea del Nord, per dirne una) iniziasse a complicare le cose. Ma così non accade, a beneficio dello sviluppo narrativo.
In secondo luogo mi ha fatto piacere notare che l'impulso alla nuclearizzazione o comunque al ricorso alla forza bruta sia stato in qualche modo placato e tenuto a bada. D'altra parte, che senso avrebbe cercare di annientare creature tecnologicamente più avanzate di noi e che per altro si dimostrano pacifiche? Molto meglio erigere un muro per far capire a questi dannati alieni di starsene a casa loro! Questo credo avrebbe previsto il buon vecchio Trump se fosse stato alla sceneggiatura...ma grazie al cielo non è stato così.
L'impostazione del film invece si concentra sul cercare di spronare sia l'umanità descritta che gli spettatori sul valore della reciproca comprensione (a tal proposito rimando a questo video), sul cercare di trovare punti in comune o comunque di dialogo più che sul temere e farsi influenzare dalle differenze. Certo, Tom e Jerry Abbott e Costello un po' inquietanti lo sono (mi hanno fatto tornare in mente gli esseri pachidermici visti in Monsters) e di certo non somigliano a nessuna delle popolazioni umane che abitano il pianeta, però ugualmente ci aiutano a meditare sull'importanza della comunicazione e del linguaggio. Qualcosa che determina anche il modo di vedere e conoscere il mondo e su cui, come specie umana, forse dovremmo sforzarci un po' di più. Indubbiamente il processo che porta Louise a rimappare la propria mente e il proprio modo di intendere il continuum spazio-temporale è un po' "esagerato" e forzato, per questioni di sceneggiatura, tuttavia è funzionale a far capire come sia potenzialmente labile il confine tra comprensione-coesistenza e incomprensione-scontro. Sia che ci siano di mezzo gli alieni, i propri familiari o persone appartenenti ad altri popoli. E che magari di punto in bianco ci troviamo accanto in metro o al bar o al lavoro. Non sono per forza astronavi quelle cose nere che vengono proposte in Arrival, così come Tom e Jerry Abbott e Costello non sono per forza esseri poliposi alti 7 metri.
D'altro canto, risolvere con semplicità questioni linguistiche e abbattere, di conseguenza, disuguaglianze e divisioni culturali e sociali non sono sfide affatto facili...però da qualche parte bisognerebbe pur iniziare.
Apprezzata poi anche la proposta del dono: per una volta l'invasione o il contatto alieno non si manifesta nel tentativo di saccheggiare o di esplorare una nuova terra bensì nella placida consapevolezza di dover educare razze inferiori e selvagge, ma con un notevole potenziale di crescita. E nella speranza che, in futuro, si rivelino realmente riconoscenti e non ingrati opportunisti voltafaccia...ma questa è un'altra storia.
A ulteriore riprova di questa teoria, va considerato che nessuna nave aliena si è piazzata sull'Italia...
Uno spunto simile, mi riferisco al "dono/arma/strumento", in realtà l'avevo già notata in Gantz, manga fantascientifico di Hiroya Oku, all'interno del quale, o per lo meno questo quello che emerge in una delle saghe finali, la tecnologia avveniristica con cui i protagonisti hanno a che fare sembra esser stata "suggerita" da entità aliene per preparare l'umanità a un imminente scontro contro bellicosi invasori extra-terrestri. Solo che qui non si parla di oggetti tangibili bensì di linguaggio e modalità per accedere a una conoscenza superiore. Un dono che al contempo costituisce un fardello che la protagonista cela e lascia intuire sin dalle sequenze di apertura, confondendo presente, passato e futuro e aprendo la strada a meditazioni sul fatto che non basta parlare la medesima lingua per comunicare e comprendersi realmente. Altrimenti, lei e suo marito non avrebbero attraversato alcuna crisi, probabilmente. Oppure i soldati non avrebbero tentato di insubordinarsi, ribellandosi a ordini impartiti in una lingua a loro nota. Come ogni strumenti, l'esito e il successo del suo utilizzo dipendono soprattutto dalla volontà e dall'impegno dell'utilizzatore.
Questi sono gli elementi che, ben calibrati all'interno di una regia che non si crogiola troppo nell'azione e negli effetti speciali ma insiste molto sulla poetica della fotografia e su un'ottima selezione di musiche a corredo delle sequenze visive, senza scordare anche la discreta prova d'attrice di Amy Adams, conferiscono ad Arrival un peso notevole, regalando un'interessante esperienza cinematografica e discreti spunti di riflessione. Quasi passano in secondo pianto questioni tecniche o domande classiche come "da dove vengono?", "siamo veramente soli nell'universo?", "e mo come la mettiamo con le religioni?", "perchè devo pagare quando prelevo col bancomat"?
Fantascienza adulta e consapevole, che procede con un minimo di rigore e approccio scientifico, di certo tutt'altra cosa rispetto a quello cui i vari Indipendence Day e Guerre dei Mondi ci hanno abituato.
Certo, Arrival non è perfetto e presta il fianco ad alcune cosucce che, probabilmente, potevano andar diversamente, soprattutto considerando la velocità con cui ad un certo punto Louise sembra interagire con gli eptapodi...così come la scarsa presenza di imprenditori e magnati che magari avrebbero potuto tentare manovre per sfruttare e capitalizzare la venuta dei menhir spaziali...ora che ci penso, che la scelta di presentare le navi spaziali come enormi "monoliti neri" abbia qualche richiamo a 2001: Odissea nello spazio?
Chissà, forse solo Giacobbo potrebbe dirlo...
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