Autore: Lois Lowry
Editore: Giunti Editore
Genere: distopico
Pagine: 256
Il mio commento:
Scritto da Lois Lowry, pubblicato nel 1993, THE GIVER ha conseguito un discreto e dibattuto consenso di lettori e critica che ne hanno determinato l’esportazione e un buon successo di vendite a livello internazionale. Vincitore di premi e riconoscimenti, tra cui lla medaglia Newbery del 1994 quale miglior libro americano per ragazzi, il libro rappresenta inoltre il primo capitolo di una trilogia che comprende GATHERING BLUE, pubblicato nel 2000, e MESSENGER, del 2004, distribuiti in Italia da Giunti editore.
Appartenente al genere distopico, il testo è ambientato in un imprecisato futuro in cui l’umanità vive in comunità ben organizzate dove tutto è regolamentato da norme ben precise e costantemente sorvegliato. Il controllo avviene su tutti i fronti del vivere quotidiano, viene fatto percepire ma senza risultare mai oppressivo o violento.
I nuclei familiari sono composti da due genitori e, al più due figli, uno maschio e uno femmina che possono venir loro assegnati; ogni individuo ricopre inoltre uno specifico compito - puericultore piuttosto che raccoglitore di cibo, partoriente o ingegnere - che gli viene attribuito secondo le disposizioni del Consiglio degli Anziani durante la cerimonia per il compimento del dodicesimo anno di età. Fondamentalmente, ciascun individuo conduce un’esistenza tranquilla, priva di affanni o pericoli, esegue il proprio compito con dedizione e perseveranza, attento a non tradire le aspettative riguardanti la propria persona, e conduce un’esistenza, per così dire, felice. In un contesto in cui tutto risulta uniforme e omologato quello che manca sono però emozioni e rapporti umani spontanei e autentici.
Protagonista delle vicende descritte è Jonas, ragazzino prossimo al compimento del dodicesimo anno e a ricevere la designazione ad Accoglitore di Memorie, una carica particolarmente autorevole la quale prevede l’acquisizione dei ricordi collettivi da parte del precedente individuo designato alla medesima carica e che, per questo, diviene un “donatore”. Costui, per lunghi anni, ha conservato dentro di sé il patrimonio di ricordi dell’umanità al fine di risultare una guida saggia a cui appellarsi dinnanzi a situazioni impreviste o non gestibili. Suo è inoltre il compito di trattenere in sé emozioni e ricordi collettivi che, altrimenti, finirebbero per disperdersi e ricadere sui membri stessi della comunità, esponendoli a dinamiche e sensazioni ignote e a cui non saprebbero reagire.
Nei panni del Donatore, affezionatosi a Jonas, gli trasmetterà ben più di quelle stesse memorie e i frammenti di un passato che l’umanità ha volontariamente abbandonato cedendo all’Uniformità, un’omologazione massiva necessaria per annullare ogni contrasto e forma di violenza, per massimizzare l’efficienza e il controllo sugli individui. Jonas imparerà così la bellezza dei colori, la magnificenza della natura, il calore dell’amore, ma sperimenterà anche il dolore fisico e la paura, la fame e la sofferenza della morte, emozioni autentiche e vere che lo porteranno a ribellarsi alla stessa Comunità in cui è cresciuto.
THE GIVER si colloca quindi a metà tra distopia e formazione e non a caso è stato spesso utilizzato nelle scuole statunitensi per integrare percorsi formativi volti all’educazione nell’età adolescenziale. Pur proponendosi come una lettura semplice, il testo porta in scena anche tematiche e situazioni adulte, presentandole come normali e quotidiane, del tutto spogliate di qualsiasi connotazione. Ecco allora che “congedare” una persona troppo anziana o un neo bimbo di pochi mesi costituiscono una scelta accettabile e del tutto razionale, alla quale non si associa alcun moto emozionale o considerazione di tipo morale.
Analogamente le pulsioni sessuali vengono represse mediante l’assunzione di farmaci e ogni emozione non controllabile (ad esempio suscitate durante i sogni) condivisa e razionalizzata al solo scopo di consentire il monitoraggio sistematico degli individui.
Ma se da un lato la denuncia dei rischi derivanti da una fredda omologazione o dalla volontà di dominare ogni dinamica umana al solo scopo di efficientare un sistema sociale e ridurre gli sprechi sono ben evidenti e condivisibili, THE GIVER pecca proprio nell’approfondimento dell’ambientazione e del contesto sociale che propone, probabilmente allo scopo di rendere l’esperienza di lettura più adatta a giovani generazioni di lettori. Per certi versi, può inoltre sorgere il sospetto che la Lowry abbia preso ispirazione dal Giappone quale esempio di società fortemente repressa e condizionata: lo si avverte dal rigido autocontrollo, dal limitato controllo umano o nell’attenzione timorosa che le persone dimostrano per il fallimento in generale, nel tentativo di non risultare di scandalo o vergogna per il proprio nucleo familiare a fronte di errori e omissioni a livello scolastico o lavorativo.
Al di là di queste suggestioni suscitate dall’ambientazione proposta, va però constatato che questa risulta per certi versi vaga e poco delineata. Ad esempio, non appare chiaro come l’umanità sia giunta ad auto-imporsi determinate regole esistenziali, riducendo ai minimi termini la differenziazione tra individui e sacrificando persino i colori dell’esistenza a una non meglio precisata Uniformità. Il mondo appare quasi innaturale, artificiale, in pace e in equilibrio ma bidimensionale. Si percepisce la pressione dettata dal controllo che il sistema esercita sugli individui ai quali viene richiesta precisione di linguaggio e di comportamento: non sono ammessi errori o mancanze se non in numero limitato, pena il congedo. Non è tuttavia la medesima tensione che Orwell propone nel suo 1984, libro a cui naturalmente THE GIVER viene accostato, dove, oltre a essere spiati e monitorati da apparecchi in tutto e per tutto simili alle moderne televisioni, i cittadini vivono in un costante clima di sospetto, incalzati dagli agenti del Ministero dell’Amore, solerti nell’individuare reazionari e sobillatori.
Nel testo della Lowry, invece, l’induzione al cambiamento appare, per assurdo, quasi facilitata: nessuno vigila sulla figura del Donatore, nemmeno con la consapevolezza del fallimento ottenuto con il precedente tentativo di formare un nuovo accoglitore. D’altra parte, il messaggio che l’autrice statunitense cerca di lanciare è proprio l’importanza fondamentale che, come persone, abbiamo nel determinare il futuro dell’umanità, un ruolo che ricopriamo ogni giorno nel momento in cui trasmettiamo parole, memorie ed esempi alle nuove generazioni. Conoscenza del passato come tramite per una consapevolezza totale della propria identità nel presente, per avanzare con saggezza verso il futuro.
Una conoscenza che sembra non essere formata da sole memorie storiche, da dati certi e verificabili ma anche da un bagaglio di emozioni e sensazioni che non sono altrimenti conservabili se non nel cuore di individui umani. I quali, proprio perché in possesso di tale ricchezza interiore, possono fungere da guida o da elementi destabilizzanti: nessuno può mettere in dubbio il ruolo dell’Accoglitore il quale, seppur raramente, viene interpellato per risolvere questioni “impreviste” ricorrendo alla saggezza che gli deriva dalle memorie che conserva. E che, potenzialmente, può manipolare un’intera società senza che questa se ne renda conto.
Appare inoltre poco chiara la capacità sovrannaturale che possiedono il Donatore e Jonas nell’acquisire e trasmettere memorie o il meccanismo per il quale alla morte dell’Accoglitore queste ultime tornino a distribuirsi ai membri della comunità. Abilità che, nel contesto descritto, rischiano di sbilanciare la narrazione verso il fantastico più che verso una ponderata distopia costruita sulla possibilità che l’incubo sociale descritto nel romanzo possa attuarsi.
Per intenderci, anche la società descritta ne IL MONDO NUOVO di Huxley vive in un mondo equilibrato nel quale l’individuo viene annullato e omologato, ma il rigore e il dettaglio quasi scientifico con cui vengono esposte scelte e dinamiche alla base di un simile risultato portano il lettore a percepire quel mondo come “realizzabile”. La negazione del passato avviene attraverso condizionamento ipnopedico prima ancora che scolastico, il controllo delle nascite avviene in modo ingegneristico e sulla base del corredo genetico ciascun individuo indirizzato verso un ruolo o una determinata mansione. E, analogamente a quanto avviene in THE GIVER, la conoscenza viene preservata e accentrata nelle mani di pochi individui: non vi è però paura o il tentativo di allontanare il dolore alla base della scelta di non condividerla, semplicemente la consapevolezza che persone appagate, prive di emozioni autentiche e di legami affettivi così come li conosciamo, non vivono che per il presente e per la ricerca di un piacere immediato. Ovvero, non avvertono nemmeno il desiderio di apprendere qualcosa d’altro o di cambiare alcunché. D’altronde, i personaggi de IL MONDO NUOVO non sperimentano nemmeno il brivido di “scoprire” a quale ruolo verranno indirizzati, deciso sulla base dell’osservazione dell’attitudine manifestata negli anni: tutto viene stabilito dagli ingegneri genetici che fabbricano persone sulla base delle esigenze della società.
Dal confronto con altri testi di genere distopico il romanzo della Lowry, pur risultando un’ottima lettura, scorrevole e molto leggibile, sembra aver sacrificato qualcosa in termini di approfondimento dell’ambientazione in favore di una semplificazione per avvicinare l’esperienza di lettura al mondo dei più giovani. Come in un certo senso suggerisce la scelta di identificare nella bicicletta il mezzo di trasporto preferenziale. In quest’ottica, il registro linguistico e lo stile adottato rendono THE GIVER adatto a ogni tipologia di pubblico ed età.
Mano a mano che si procede nella lettura e ci si avvicina al finale, infine, ogni quesito o aspettativa del lettore viene progressivamente messa da parte mentre Jonas procede in un viaggio dall’esito incerto, un percorso di crescita e di ribellione dai tratti vagamente definiti, a metà tra realismo e suggestioni oniriche. Il finale aperto non concede però una risposta precisa ma lascia a chi legge il compito di stabilire come effettivamente si conclude il romanzo e se, effettivamente, il piano ideato da Jonas e il Donatore produrrà cambiamenti nella comunità o se, invece, gli eventuali frutti della ribellione provocata saranno godibili solo da future generazioni, rappresentate dal neo-bimbo che lo stesso Accoglitore di memorie porterà con sé nel proprio viaggio verso Altrove.
Un viaggio che, considerando anche la presenza di elementi vagamente fantastici disseminati nel libro, come appunto tutto ciò che orbita attorno alla trasmissione dei ricordi, può risultare una sorta di quest. E in tal senso la figura del donatore può essere in parte accomunata a quella del vecchio saggio che, al pari di un Allanon o di un Gandalf, abbandonato il proprio rifugio, torna alla civiltà in cerca di un eroe a cui destinare il proprio sapere e affidare una missione. E’ un uomo saggio, conoscitore della vita e ormai stanco della propria solitudine, che vive separato dalla comunità, conscio della menzogne che la regolamentano, eppure garante di queste. Rappresenta egli stesso un’antitesi prodotta da una società che vorrebbe affrancarsi dalla propria umanità ma della cui importanza è pur sempre consapevole.
In ultima analisi, THE GIVER risulta sì una lettura appartenente al genere distopico ma, più che contaminato da elementi di genere fantascientifico, integrato da situazioni attinenti al genere fantasy motivo che, probabilmente, ha favorito la sua diffusione e fruizione rendendolo assimilabile come una sorta di fiaba senza tempo contenente moniti e riflessioni per non cadere vittime di un’Uniformità che omologa e sottomette in modo fin troppo subdolo e sottile.
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