Come ben sapete, Vuoto di Luce è un romanzo di genere (urban)fantasy che ho pubblicato tramite YouCanPrint e che da marzo è disponibile per l'acquisto in formato cartaceo oppure ebook.
Non solo, con l'obbiettivo di promuoverlo ho anche avviato una catena di lettura su Anobii per consentire ai lettori di leggerlo praticamente aggratis mentre YCP ha recentemente avviato nuove collaborazioni con il risultato che il testo sarà disponibile anche nei circuiti bibliotecari italiani.
Ordunque, ne approfitto in questo post per proporre un assaggio del romanzo, sia mai che qualcuno non voglia cimentarsi con la lettura del libro e farmi sapere che ne pensa :-)
Questo dolore che ci fa soffrire
nessuno può prevederlo:
sforziamoci di guardare nel sole
assaporando ogni frutto del nostro presente.
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18.04.A892
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Il vento
soffiava leggero tra le fronde delle betulle ai margini della strada
provinciale. In auto, Delukhan stava percorrendo il viale principale del nuovo quartiere
di Hennon, un rettilineo poco trafficato in cui si tuffavano i vialetti uscenti
dai giardini ben curati di tante casette a schiera. Una zona tranquilla,
lontana dal traffico e dallo stress del centro della città di Bevyol ma ben
servita sia dal punto di vista dei trasporti che delle attività commerciali. Negli
ultimi anni il numero delle abitazioni che lo popolavano, per lo più case basse
e villette a schiera, era quasi raddoppiato, niente a confronto della selva di
edifici moderni e palazzi che stavano colonizzando il centro, facendolo somigliare
sempre più a un alveare caotico e perennemente in fermento. Erano molte le
famiglie che, attirate dalla tranquillità e dall’ordine che il quartiere sembrava
promettere, avevano preso dimora da quelle parti, indebitandosi per molti anni
a venire in cambio di villette di due piani di recente costruzione. Piccoli
edifici rassicuranti dalle pareti colorate di bianco e rosso, abbastanza
spaziose per ospitare almeno un paio di marmocchi vivaci. Fotografie di
tranquillità, immagini di sereni focolari domestici. Un idillio, se raffrontato
con quanto la televisione, quotidianamente, insegnava del mondo.
Delukhan
procedeva a velocità moderata, con il braccio destro che pendeva fuori dal
finestrino stancamente appoggiato alla portiera della propria berlina grigia. Non
aveva fretta alcuna, nessun affanno. Tutto scivolava via placido come le note
della canzone rock che si diffondeva dalle casse dell’autoradio. Era di ritorno
dopo aver compiuto la missione che la
Luce gli aveva assegnato: il ritrovamento di una bambina
rapita da alcuni balordi residenti nella medesima cittadina in cui lei stessa viveva,
depravati guidati dalla lussuria e dal Vuoto che avevano intenzione di abusare
della piccola. Una ragazzina qualunque, un’anima da proteggere finita vittima
della perversione umana la cui condizione, in un clima di sospetto e ottusità, avrebbe
finito per alimentare attriti e razzismo. Subito infatti erano stati incolpati
della sparizione alcuni stranieri che, da qualche tempo, si erano insediati
nella periferia del paese, immigrati che spesso veniva additati come
responsabili di un crimine o di un altro. Non in questo caso, però; ma alle
coscienze delle persone per bene sembrava bastare il colore della pelle per
determinare chi fosse colpevole e chi innocente. Per questo la Luce aveva
inviato Delukhan in soccorso della piccola, Yara, per trovarla e salvarla, lasciando
che infine la verità emergesse e mettesse in discussione il modo di vedere e
pensare delle persone. E fortunatamente il servitore della Luce era giunto in
tempo a contrastare il messaggio che il Vuoto avrebbe preferito trasmettere
alle masse, innescando un meccanismo perverso di riflessioni e colpevolizzazioni
verso chi non si era macchiato di alcuna colpa. Lo smascheramento dei veri
colpevoli aveva contribuito forse a risvegliare un po’ di spirito critico in
più di una coscienza. Delukhan sperava avvenisse proprio questo; per lo meno la
piccola Yara era salva.
Ora però i
pensieri del guerriero della Luce non erano rivolti al ricordo di quanto
compiuto, bensì tesi all’incontro con la ragazza che amava.
Chissà se Tynderion è già tornata dal lavoro? Chissà
di che umore sarà o come reagirà nel rivedermi sull’uscio di casa?
Forse stasera potrei portarla fuori a cena.
In quel
periodo, complice il trasloco nella nuova casa, Tynderion era un po’ stressata:
non si trattava di un cambiamento da poco, anzi, secondo alcuni esperti un
evento del genere costituiva una delle fonti primarie di stress moderno.
La ragazza
aveva cambiato casa spinta dal desiderio di dare una svolta alla propria vita,
alla ricerca di maggior indipendenza. Non aveva mai pensato concretamente alla
possibilità di sposarsi e metter su famiglia o, per lo meno, non rientrava
negli obbiettivi che aveva catalogato come primari. Ma l’incontro e la
relazione con Delukhan avevano lentamente mutato ogni prospettiva e priorità. L’amava:
la ragazza gliel’aveva più volte sussurrato accarezzandogli i folti capelli
corvini e perdendosi nei suoi enigmatici occhi azzurri.
E adesso, ora
che la loro relazione maturava, seppur con alti e molti bassi, in cuor suo Tynderion
sperava di riuscire a convincerlo a stabilirsi da lei. A patto, che
l’atteggiamento di Delukhan mutasse. Tra i due c’era amore, intensa passione e
dolce complicità; ma lui non poteva garantirle quella vita normale che lei agognava.
Un ostacolo per
la loro storia e a cui Delukhan, per quanto lo desiderasse, non poteva porre
rimedio con immediata facilità.
Più volte ci
aveva riflettuto ma senza riuscire a trovare un modo con il quale conciliare il
proprio ruolo di servitore della Luce e l’amore che provava per la sua
Tynderion.
Lasciala perdere, le
aveva addirittura consigliato Syrvild.
Cazzate, solo un mare di insensate stronzate:
questa l’opinione di Delukhan in merito alle paternali del proprio mentore.
Anche in quel
momento, mentre guidava in quella strada di periferia, immerso nel clima
familiare che quel quartiere possedeva, immaginava come sarebbe potuta essere
la loro vita, a come la sua intera esistenza sarebbe potuta essere se non fosse
stato chiamato al servizio della Luce, costantemente in soccorso di persone in
difficoltà o a osteggiare i piani orditi dai servitori dalle tenebre.
Normalità: è poi tanto insano desiderane un po’ per
sé?
Malgrado tutto
ciò, Delukhan sperava di riuscire a conciliare le proprie dinamiche esistenziali
con quelle di Tynderion, desiderava renderla felice, tentare una vita assieme.
Chissà, magari un giorno io e lei finiremo come una delle
tante famigliole che abitano da queste parti. In fondo, l’amore è uno dei principi che la Luce pone al centro di ogni
suo agire, un vincolo sacro da difendere e far germogliare…
A un tratto
però una volante della polizia lo superò distraendolo dalle proprie riflessioni.
Era talmente immerso nei propri pensieri che si era accorto solo all’ultimo della
vettura che sopraggiungeva a forte velocità e che ora lo precedeva poco più
avanti. Controllando sullo specchietto, notò un altro mezzo seguirne la scia
mentre le sirene dell’automezzo dei pompieri violentavano l’atmosfera pacifica del
quartiere.
Era insolito
vederne da quelle parti.
Dev’esser successo qualcosa di grave, un incidente
d’auto forse.
Dubitava che
la causa potessere essere altro, stentava persino a immaginarsi un crimine in
quel quartiere così tranquillo. Non era così ingenuo da pensare che non
potessero esserci ugualmente delle mele marce, ma ugualmente preferiva pensare
a Hennon come a un luogo sicuro e affidabile per la sua Tynderion, un piccolo eden
di periferia.
Poi, dritto
davanti a sé, notò rivoli di fumo che salivano al cielo.
Un brivido gli
corse lungo la schiena e accelerò d’istinto animato da uno spiacevole
presentimento.
No, no, ti prego, fa che non sia successo nulla …
Di lì a breve
scoprì che i propri timori erano fondati: dirimpetto alla casa di Tynderion
erano parcheggiate un paio di volanti mentre i pompieri agivano per domare
l’incendio che divorava l’abitazione con fame atavica.
Sul
marciapiede sostava un’autoambulanza.
Le fiamme
stavano devastando la villetta con furia e c’era il rischio che si propagassero
alle abitazioni limitrofe. Nel giardinetto stazionavano due poliziotti e un
manipolo di curiosi, accorsi per osservare la tragedia come avvoltoi in
trepidante attesa di smembrare la carcassa di un loro simile.
La porta dell’abitazione
era spalancata e quel poco che si poteva scorgere dell’interno faceva presagire
un inferno di fiamme e dolore.
Delukhan frenò
bruscamente e si fermò a pochi metri dalla villetta. Teso e preoccupato, slacciò
la cintura di sicurezza e si fiondò fuori dalla vettura, abbandonandola in
strada. Il cuore batteva all’impazzata, la mente già ottenebrata dalla paura. Correva,
soltanto questa la percezione di quegli istanti, avanzava veloce, passo dopo
passo verso la scoperta di una verità confinata solamente nei suoi incubi più
cupi. Quasi non s’avvide delle lingue di fuoco nero che di tanto in tanto
allungavano dita incandescenti sull’abitazione, fiamme sovrannaturali che
alimentavano il fuoco stesso. Istintivamente attivò i propri poteri ricoprendo
il proprio corpo di una corazza di energia liquida e ampliò le proprie
percezioni cercando di captare le emanazioni vitali della sua Tynderion.
Attorno a lui filamenti magici appena percepibili a occhio nudo lo ponevano al
riparo da calore, uno scudo di energia mistica in grado di proteggerlo dagli
attacchi più potenti ma del tutto inutile contro l’angoscia dilaniante che gli
cresceva dentro.
La cercò, ma di
lei non vi era traccia. Individuò piuttosto una scia di magia tenebrosa che gli
fece comprendere la natura dolosa dell’incendio.
No no no, non può essere vero, non può essere …
D’impulso si
diresse verso l’edificio mentre già richiamava l’energia necessaria per disperdere
le fiamme. Il potere che la Luce
gli aveva conferito nel momento stesso della sua consacrazione non era inteso
per usi personali ma solo per le missioni che i servitori del Bene erano
chiamati a compiere. Ma ora non c’era posto per lucidità e cautela.
Che vedano, che vedano tutti:
Delukhan pensava unicamente alla propria compagna.
« Ehi? Che
vuoi fare? »
La voce dei
poliziotti non lo sfiorò nemmeno, nulla più che distanti sussurri mentre tutta la
sua attenzione era completamente volta a un unico pensiero: devo entrare.
Soltanto un
uomo si staccò dal gruppetto dei curiosi e lo seguì con l’intenzione di
proteggerlo e di evitargli uno strazio inutile.
Delukhan entrò
in casa con l’impeto di una belva famelica, il battito cardiaco accelerato per
l’apprensione. Sotto il peso del suo sguardo le fiamme si disperdevano come
ombre al sole. L’aria era calda e soffocante, densa di fumo, ma ciononostante
il suo fisico sembrava non risentirne, sostenuto dall’adrenalina e dal potere
magico che dominava. Rapido e deciso si fiondò in cucina, era la prima porta
sulla destra: il tavolo, i mobili e il frigo erano al loro posto, danneggiati e
condannati.
Quindi fu il
turno del salotto.
Fu qui che la
rinvenne: Tynderion era a terra, riversa sul soffice tappeto a tinte beige e
blu. Il corpo era supino, davanti al divano che a lei tanto piaceva sulla cui
pelle liscia adorava far scorrere le sue mani delicate. Ma le braccia erano
immobili ora, scomposte nella sofferenza della morte, insozzate del sangue che,
come una pozza, si estendeva sul pavimento: la ragazza aveva le vesti e il
ventre squarciato da una profonda ferita trasversale.
Il volto, una
maschera di terrore infinito.
Delukhan si
fermò paralizzato; la realtà gli rovinò addosso in un istante. Il tempo stesso
sembrò immobilizzarsi mentre realizzava quanto era accaduto. Quanto aveva
perduto.
No!
Delukhan cadde
in ginocchio, incredulo e sopraffatto, lo sguardo fisso negli occhi sbarrati di
lei.
Non può essere vero!
Fu allora che
l’altro uomo lo raggiunse, un signore rubicondo sulla cinquantina, un guerriero
della Luce che Delukhan conosceva molto bene. Gli appoggiò una mano sulla
spalla: avrebbe preferito risparmiare al ragazzo la vista di tanta atrocità, ma
non era stato abbastanza veloce.
« Vattene! »,
esplose Delukhan, turbato dalla sua comparsa
Una parola
soltanto, un burbero comando dettato dal dolore e dallo sconforto che si erano
impadroniti di lui.
Syrvild lo ignorò
e, con voce calma, espresse il proprio cordoglio:
« Mi dispiace
ragazzo, mi dispiace ».
Il giovane
chiuse gli occhi, sopraffatto, la gola stretta in una morsa di desolante
tristezza.
« Tynderion è
morta, non puoi fare più niente. Vieni, usciamo! ».
Ma Delukhan
rifiutava quelle parole, incapace di metabolizzare l’accaduto; tentò invece di alzarsi
e di raggiungerla, per stringerla un’ultima volta. Syrvild però si gettò su di
lui, trattenendolo.
« Mi dispiace.
È troppo tardi ormai … », cercò di farlo ragionare.
« Nooooo!
Lasciami. Lasciami!!! »
Syrvild
comprendeva il suo dolore ma non poteva accettare che la sofferenza lo
accecasse a tal punto da fargli compiere gesti insani contro se stesso o nel
tentativo di richiamare l’anima della propria amata in un estremo tentativo di
guarigione, sfiorando la negromanzia.
Spostandolo di
peso, cercò di ricacciarlo indietro, verso l’esterno, al sicuro dal fuoco, al
sicuro dal cuore. Al contempo, i pompieri, alacremente al lavoro per domare le
fiamme, imprecavano contro la stupidità dei due e sbracciavano con foga,
invitandoli a guadagnare l’uscita dell’edificio.
A ogni
centimetro che andava ad aggiungersi alla distanza tra se stesso e il corpo di
Tynderion, Delukhan sentiva infiniti aculei di sofferenza lacerargli il cuore,
uno per ogni secondo che non le aveva donato, per ogni momento che avevano
condiviso e per tutte le verità che le aveva taciuto. Quelle che l’avevano
condannata.
È colpa mia, soltanto colpa mia ….
Tutto perse
ogni significato: i colori del mondo si fusero in un caotico acquerello di
tristezza e dolore mano a mano che Delukhan metabolizzava quanto era accaduto.
« È colpa mia,
soltanto colpa mia … »
Syrvild gli
mise le mani sulle spalle, nel tentativo di confortarlo e di scuoterlo.
Spettava ai poliziotti e ai pompieri porre ordine in quella devastazione. Tutto
ciò che poteva fare era agevolarli smorzando con il potere della Luce le fiamme
che, lentamente, stavano divorando l’edificio.
Non potevano fare altro.
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